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Suona ancora l'orchestra del Titanic?


Paesi in fuga e banche pronte a fronteggiare eventuali emergenze e preparano cambio in escudo, lira e dracma, Paesi dell'Est non lo vogliono.

 IL GRANDE ESODO dall'euro è già iniziato. L’euro, nato con l’intento di tener testa al dollaro anch’esso in declino ma supportato da un sistema di tutele e cuscinetti più efficace, è diventato ormai una trappola. I problemi sono nati tutti dalle difficoltà dell'Eurozona e della sua politica, immobilizzata dal menefreghismo interessato di Berlino ogni volta che c’è da prendere decisioni importanti. 

IL RISULTATO È che lo spread dei titoli di Stato dei paesi in crisi continua a crescere in maniera spropositata e gli stessi paesi,  Italia in testa, sono costretti a sottomettersi a sacrifici difficili da sostenere e, probabilmente, inutili.  E oggi, anche gli stati che, da sempre hanno sognato di entrare nel mondo della moneta unica, si sono resi conto che la politica europea è una trappola. 

IN PRIMIS LA POLONIA, dove secondo recenti sondaggi, quasi i tre quarti della popolazione è fortemente contraria all’abbandono dello zloty, la moneta di Stato

LA REPUBBLICA CECA, dove la maggior parte dei cittadini non vuole abbandonare la corona. La Bulgaria, che avrebbe tutte le carte in regola per entrare nell'euro già dal prossimo anno, ma il cui governo ha dichiarato di non voler entrare a far parte della zona euro. 

PERFINO GLI STATI DELL'EST, che dopo più di 20 anni dalla caduta dell'Urss iniziano ad avere economie floride e dinamiche, oggi snobbano i cosiddetti 'grandi', da cui preferiscono prendere le distanze. Bisogna tener conto che lo scetticismo dei paesi dell'est che l'euro lo hanno già adottato, senza trarne alcun beneficio, come  Estonia, Slovacchia e Slovenia guardano con rammarico, alla forte crescita della Polonia, che senza euro stanno più che bene.

MA LE INCERTEZZE sulla tenuta dell’euro non sono soltanto dei paesi che si defilano ancor prima di entrarvi, ma anche, e soprattutto,le preoccupazioni attanagliano il mondo delle banche che si stanno preparando al collasso del sistema e al ritorno alle vecchie divise. 

LO SEGNALA IL WALL STREET Journal, che parla di almeno due istituti che stanno riattivando il sistema di cambio basato sulla dracma, l'escudo e la nostra vecchia lira, le tre vecchie monete dei tre Paesi più a rischio, rispettivamente Grecia, Portogallo e Italia. 

LE BANCHE hanno contattato Swift, il consorzio con sede in Belgio che gestisce transazioni finanziarie internazionali, per sapere se i codici delle vecchie divise siano ancora attivi o almeno utilizzabili in caso di emergenza. 

SE LA RISPOSTA DOVESSE essere positiva, potrebbero iniziare fin da subito a lavorare ad un sistema di cambio alternativo a quello dell'euro in grado di entrare a regime con intraprendenza nel caso in cui i Paesi in questione ne dovessero uscire. 
E non va dimenticato che la stessa Germania sta facendo stampare marchi in Svizzera.

 ENNIO DORIS, presidente di Banca Mediolanum, è nettamente positivo, “Nessuno può dire se Atene uscirà dall’euro. Potrebbe uscire e  fare default, ma in quel caso non mangerà i soldi a noi, ma all’Fmi e alla Bce perché i privati hanno già pagato caro. Io finanzio i miei concorrenti, presto soldi alle famiglie e compro titoli di Stato italiani”.
 
IL PROBLEMA DELLA CRISI è molto serio, soprattutto perché la speculazione scommette molto sull’incapacità dei politici europei nel trovare una volta per tutte una soluzione per proteggere l’euro. La percezione, dei big spender italiani, è che alla fine qualcosa succederà in quanto questo accanimento finanziario non può durare per sempre.
 
IN PRIMO LUOGO perché ci vogliono soldi anche per comprare al ribasso, e non sono infiniti. E in secondo luogo, perché la Bce non ha ancora usato tutto ciò di cui sarebbe in grado di disporre. I finanziamenti a tre anni che hanno fatto respirare le banche sono niente in confronto a quello che la Fed mette in pratica da quattro anni a questa parte. Certo, bisogna convincere la Merkel nell’accelerare con gli eurobond. Lei continua a non voler mollare ma è questione di tempo.  
 
LE PRESSIONI DI OBAMA, del Fondo Monetario Internazionale e di Cameron  sono sempre più forti. Sono soprattutto gli americani a stare addosso alla Cancelliera, se salta l’euro, saltano le centinaia di miliardi di dollari in derivati che sono nelle banche Usa. Il che significherebbe default degli Stati Uniti.
 
E UN’ITALIA FUORI DALL’EURO significherebbe la fine dell’export tedesco, in quanto anche se in difficoltà riempirebbe il mondo con i suoi prodotti. Ma sicuramente prima di arrivare a questo scenario la Bce ci ricoprirà di liquidità. Non sarebbe idilliaco, ovvio, ma neppure infernale.
Fonte: professionefinanza.com

LA DEMOCRAZIA SOSPESA


In molti precedenti  post abbiamo posto il quesito se il suffragio universale fosse compatibile con la sanità di bilancio. Il dibattito é stato consistente, anche se forse condotto più su base emotiva che razionale.
                Jean-Claude Trichet, ex Presidente di Bce, in un discorso al Peterson Institute for International Economics di Washington ha riproposto adesso lo stesso problema, anche se a termini rovesciati.
                Sostanzialmente, ha detto che in futuro l’UE non disporrà di budget consistenti e che sarà necessario porre sotto amministrazione controllata i paesi che non fossero in grado di attuare le politiche approvate in sede UE, la quale dovrebbe prendersi così in carico la gestione del bilancio di uno Stato membro, che fosse incapace di mettere in ordine le proprie finanze.
                In altri termini, la sussistenza economica dell’Unione risulterebbe più importante dell’orientamento politico ed economico di uno Stato membro, ancorché tale orientamento fosse stato sancito da un suffragio elettorale.
                Considerazioni.
                Il suffragio universale impone ai candidati la necessità di conquistarsi la maggioranza per poter formare un governo, ed i cittadini votano i candidati i programmi dei quali sono più consoni alle loro esigenze attuali.
                Ciò porta usualmente a due conseguenze. La prima é il frequente riscontro di una consistente parcellizzazione partitica, che rende problematica la formazione del governo, che risulta essere instabile e poco coeso. Quindi, inidoneo nei fatti a gestire la cosa pubblica. La seconda, é la necessità di mantenere le promesse elettorali, almeno parzialmente. Ma quasi invariabilmente tali promesse non sono economicamente realizzabili oppure deteriorano ulteriormente una già precaria situazione.
                Il risultato finale é una ingovernabilità sostanziale che si associa alla necessità di generare elevati deficit e, quindi, debiti sovrani, cui consegue, presto o tardi, il collasso del sistema produttivo.
                Siamo chiari: nessun corpo elettorale eleggerebbe un candidato che avesse come programma di rimettere in ordine i conti, tagliando le spese statali, licenziando buona parte del corpo dei burocrati e dei funzionari delle pubbliche amministrazioni, deregolarizzando nel contempo il comparto produttivo per riallinearlo alle esigenze dei mercati.
                La democrazia é un bene fragile e delicato. Se chi la esercita non lo sa fare con buon senso e moderazione, allora le attese si scontrano con la durezza della realtà, che alla fine le stritola.
                Sotto questa luce la proposta di Trichet trova una sua intrinseca giustificazione.
Giuseppe Sandro Mela per rischiocalcolato 



CRONACA DI UN SUICIDIO ANNUNCIATO


«Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Poi ha convinto l’Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l’integrazione d’Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell’ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Corriere della sera
Sono parole pronunciate dall’ex ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer il quale sceglie parole pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione…
«Mi preoccupa – spiega Fischer – che l’attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l’austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l’economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando». L’ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l’Europa è oggi sull’orlo di un abisso. «O l’euro cade, torna la renazionalizzazione e l’Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l’Unione fiscale e l’Unione politica nell’Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell’austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
Ma non è finita ascoltate cosa ci racconta Fitoussi … «Non c’è da sorprendersi: così come è strutturata oggi, l’Europa è destinata alla paralisi», ha spiegato a Lettera43.it Jean-Paul Fitoussi, economista e docente all’Istituto di studi politici di Parigi e dell’Università Luiss di Roma, nonché membro del consiglio d’analisi economica del governo francese. «Il Trattato di Lisbona prevede che le decisioni siano prese all’unanimità: impossibile. Il risultato è che non vengono mai prese. O che sono talmente addolcite da consegnarci al fallimento».
(...)  i tedeschi non voglio accollarsi il costo del debito degli altri. R. Questa è follia: la Germania ha goduto finora del fatto che gli altri si siano indebitati. D. Come? R. Più gli altri stanno male e devono pagare interessi alti sulle proprie obbligazioni statali, meno paga la Germania, considerata solida. Oltretutto, non è che i tedeschi abbiano poco debito: il loro è pari all’88% della ricchezza nazionale, non hanno niente da pontificare. D. Merkel però è inamovibile. R. Ripeto, la Germania non può dare lezioni. D. Perché? R. Ha giocato sporco: Berlino ha guadagnato perché ha fatto concorrenza fiscale e sociale a quelli che doveva aiutare. D. Cosa intende con concorrenza sociale? R. Semplice: le imprese hanno abbassato i salari e diminuito le tutele sociali. Hanno scelto una ricetta che fa male a tutti: ai lavoratori tedeschi e agli altri Paesi dell’Europa. (…)
Se vogliamo evitare la nascita di un “Quarto Reich” sarà meglio accelerare le procedure di dismissione dell’euro, la messa in disarmo dell’inutilissimo parlamento di Bruxelles, della BCE, filiale della Bundesbank e di tutte quelle istituzioni comunitarie come la Commissione Europea, l’Eurogruppo, l’Ecofin ecc. che non sono altro che costosissimi carrozzoni zeppi di imboscati di lusso, strapagati per fare nulla e decidere nulla. Se ognuno di noi torna alla propria valuta e alla propria banca centrale non saranno rose e fiori, ma lo strapotere della Merkel ci porterebbe comunque diritti verso il disastro. L’obiezione che si fa più spesso, in questi casi, è che la nostra moneta sarebbe troppo debole per attirare investimenti. In altra parole, avremmo forti difficoltà a raccogliere denaro nelle aste internazionali perché considerati pessimi pagatori. E’ vero solo in parte: fuori dal giogo della Germania l’Italia potrebbe ricominciare a crescere e a produrre per esportare, e il debito pubblico potrebbe avviarsi ad un primo contenimento. Non dimentichiamo, inoltre, che con una banca centrale con pieni poteri, potremmo scegliere le politiche monetarie che più si addicono alla nostra nuova situazione. Infine, con uno spread intorno ai 450 punti ormai stabilmente consolidati, siamo costretti a pagare comunque interessi da capogiro, che vanificano qualunque manovra finanziaria fatta di tagli e nuove imposizioni fiscali. Restare nell’euro non ci conviene in nessun caso. Ma non possiamo uscire da soli. Auguriamoci che i burocrati di Bruxelles si accordino (sarebbe la prima volta!) almeno sulla estinzione della moneta. Non ci crediamo molto, sono proprio loro a godere di vertiginose rendite di posizione, sono propri loro a vivere nel mondo dorato dove la crisi non è arrivata, non saranno dunque loro a fare la prima mossa. Tocca ai premier politici europei prendere la decisione. E prima lo faranno meglio sarà.
Da icebergfinanza






QUANTO VARREBBE LA LIRA FUORI DALL'EURO?


Se l'Euro crollasse e tutti i Paesi dovessero tornare alle proprie monete, quanto varrebbero Lira, Dracma, Pesetas, Marco? Per tentare di fare una stima è molto utile osservare l'andamento dei bond europei: secondo molti un'esplosione dell'Euro comporterebbe nei Paesi periferici dell'area (quelli con il debito pubblico più alto e traballante, ovvero Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia) un'esplosione dei rendimenti dei bond, riportandoli ai livelli pre-euro. Questo però a fronte di un marco molto più potente di allora e che sarebbe dunque ancora di più la moneta di riferimento per i cambi.

Tentiamo di fare delle stime. Nel 1993 - come evidenziato in un'analisi di John Greenwood, chief economist di Invesco - i Bund a 10 anni pagavano il 6,5%, i rispettivi Btp il 10,8%, i Bonos il 9,9%, gli Oat francesi il 6,45%, i bond del Portogallo il 10,57% e i bond di Dublino il 7,3%. Livelli certamente superiori a quelli attuali dove impressiona il tasso della Germania che oggi invece paga sugli stessi titoli l'1,4% nominale. Se però ci spostiamo a fine 1997 (quindi sempre nella fascia temporale pre-euro) il quadro cambia profondamente. I Bund tedeschi pagavano il 5,5%, i BTp il 6,1%, i Bonos il 5,9%.

Tra il 5,5% e il 6% anche i titoli di Francia, Portogallo e Irlanda. Ci si avviava alla stabilizzazione delle varie monete, che oggi per forza di cose non potrebbe più essere. La Germania si è rafforzata parecchio, a tal punto che oggi paga i suoi bond quasi all'1% mentre dieci anni fa li pagava al 6% e questo a fronte di altri Paesi, come Italia, Spagna, Grecia, Irlanda, che sono rimasti stabili o hanno fatto il processo inverso.

Ma è proprio dall'andamento dei bond e dai loro differenziali nel periodo pre-euro che possiamo fare una stima (seppure approssimativa) di quanto varrebbero Lira, Dracma, Pesetas, ecc. Prendiamo la Lira italiana, ad esempio. Nel 1996 un Marco tedesco valeva 990 Lire. Nel 1998 quando venne stabilita la parità tra le monete della zona Euro valeva più o meno mille lire, ma a ottobre del 1992 valeva ben 1300 lire. E' probabile che oggi, se si tornasse a monete separate, con un Marco ancor più forte di allora e una Lira leggermente più debole, ci vorrebbero più o meno 2mila lire per fare un Marco.

Per quanto riguarda la Spagna, nel 1993 pagava sui suoi bonos un tasso dell'8,9% contro il 6,5% dei Bund. Nel dicembre del 1997 la Spagna pagava sui Bonos un tasso del 5,97% contro il 5,45 della Germania, oggi paga il 5,33% contro l'1,18 della Germania. Questo vuol dire che se nel 1998 quando fu fissata la parità delle monete un marco valeva 85 Pesetas, oggi ne varrebbe almeno 250.

La Francia nel 1993 pagava sui suoi Oat il 6,54% di interessi, molto vicino al tasso tedesco nel 6,5%. Nel 1997 questi tassi si erano ridotti al 5,4% mentre oggi sono intorno al 2,8, più o meno un punto percentuale sopra agli interessi tedeschi. Questo vuol dire che se nel 1998 quando fu fissata la parità delle monete un Marco valeva circa 3 Franchi francesi, oggi ne varrebbe almeno 4 o 5.

Per quanto riguarda la Grecia, al momento dell'entrata nell'Euro il Marco valeva 174 Dracme. Adesso si potrebbe calcolare che ne varrebbe cinque volte di più. Stessa storia per l'Escudo Portoghese e la Lira irlandese: Portogallo e Irlanda sono gli unici Paesi che oggi pagano un'interesse sui propri bond più alto di 15 anni fa. Ciò significa che, se si tornasse alle monete nazionali, anche Escudo e Lira sarebbero molto svalutate. Allora se nel 1998 un Marco valeva 102 Escudi e 0,40 Lire irlandesi ora varrebbe almeno 400 Escudi e 2 Lire irlandesi.

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LA LUNGA NOTTE INIZIA

Dopo il recente sell-off sulla borsa italiana e la ripresa delle tensioni soprattutto sui governativi italiani sono stato letteralmente invaso da centinaia e centinaia di richieste via email di risparmiatori ed investitori preoccupati per la loro banca, le loro obbligazioni, le loro giacenze di liquidità e il futuro dei loro risparmi. Il timore maggiore è legato in misura maggiore al verificarsi del cosidetto “worst case scenario” ovvero la casistica del breakup (spaccatura dell'euro in due monete). Sull'argomento ho scritto e parlato con notevole approfondimento in numerose occasioni: tra qualche settimana troverete in edicola anche il mio nuovo pamphlet intititolato Neurolandia dedicato a quanto sta accadendo. Con molti lettori ho avuto modo di analizzare anche la loro situazione patrimoniale (ereditata o costruita nel tempo): il giudizio che ne emerge è sconfortante, con portafogli assolutamente inadatti ad affrontare e sopportare quanto stiamo vivendo.


Il risparmiatore italiano medio in passato ha costruito la sua fortuna e la sua sicurezza attraverso il mix elementare costituito tra titoli di stato italiani ed immobili residenziali, ottenendo sempre da entrambi notevoli soddisfazioni e costanti performance nel tempo. Mettetevi in testa che questo “modus investendi” è definitivamente terminato, risale ad un epoca ormai medioevale per i mercati finanziari, superato nella sua logica, destinato a generare perdite e rischi rilevanti. Game over per dirla con una terminologia brutale. Scordatevi la sicurezza e le performance senza fatica, senza pensieri e senza rischi. Quel passato che ha fatto la fortuna dei nostri padri è ormai sui libri di storia. Quanto sta accadendo in Europa dimostra oggi come investimenti considerati solidi e sicuri due anni fa, adesso siano messi in osservazione per il rischio sistemico che incorporano. Scordatevi l'oro, la corona norvegese, il franco svizzero o peggio ancora i terreni come mi sono sentito proporre di recente: non esiste nessun posto sicuro, per dirla ancora all'inglese “there is no safe heaven” (sostanzialmente non esiste più il risk free).

La crisi del debito europeo e dell'euro stesso, per chi non l'avesse ancora compreso, non ha più niente a che fare con l'economia o con il debito dei singoli paesi o con il tanto denigrato spread. La crisi europea è una crisi politica a tutti gli effetti, connaturata da una mancanza di leadership sovrana: questo si aspetta chi ci sta guardando, vuole una manifestazione di autorevolezza da parte di tutti gli stati della moneta unica, mettendo da parte una volta tanto l'egocentrismo teutonico. L'Europa fa paura, si teme il peggio proprio sul piano politico, portando alla distruzione quanto si è fatto in oltre un decennio. L'attuale nuovo equilibrio con una Francia potenzialmente destabilizzante è caratterizzato da un vulnerabile asseto a geometria variabile (manca ancorano alla tornata elettorale sia la Germania che soprattutto l'Italia). Per questo si assiste al fuggi fuggi generale sul piano istituzionale degli operatori del risparmio gestito.

Il tutto è anche comprensibile in quanto nessuno è in grado di fare previsioni ragionevoli sull'euro e sulla sua tenuta: vi sono solo fantomatiche rassicurazioni di facciata. Per questo motivo continuo a dare come indicazioni operative la costruzione di portafogli negativamente correlati, puntando su allocazioni in fondi di investimento con approccio market neutral (o per semplicità non direzionali), possibilmente con gestioni flessibili e dinamiche, in grado di sterilizzare quanto più possibile eventi di portata improvvisa. Questo rappresenta l'optimum: il meglio che si può fare, purtroppo non lo fa quasi nessuno più che altro per ragioni di mediocre cultura finanziaria (promotori compresi) e tipica eccentricità dell'italiano medio. Quest'ultimo infatti è investito nella modalità peggiore per il momento: appesantito da BTP con scadenza pluridecennali a tassi fissi risibili e patrimonio immobiliare di natura residenziale. In poche parole ha un'esposizione massificata al solo rischio del paese italiano: qualcuno lo chiamerà patriottismo, qualcun altro fiducia sulle istituzioni, qualcun altro vicinanza verso la propria terra. Sir John Templeton l'avrebbe chiamata follia nazionale.
Eugenio Benetazzo - eugeniobenetazzo.com 



Secondo Eurostat per il 2012 l’ Italia avrà una pressione fiscale al 47,3%. La crisi nei grafici


Secondo il rapporto dell’ Eurostat, reso noto oggi, la nostra Penisola avrà una tassazione che raggiugnerà il 47,3% quest’ anno, ma c’è chi sta peggio di noi in Eurolandia, cioè Belgio, Danimarca, Grecia, Spagna ecc. ecc. La tendenza comunque dell’ aumento delle tasse è al rialzo, quindi niente di buono in vista per la crescita, nonostante gli annunci a tutto spiano che si sentano in giro per l’ Europa. E’ triste il primato dell’ l’Italia che balza in testa alla classifica europea per la pressione fiscale sul lavoro. Nel 2010, in base ai dati resi noti oggi, il peso “implicito”, ovvero tasse più oneri sociali dello Stato sul costo del lavoro è salito dal 42,3 del 2009 al 42,6%. Nei 17 Paesi dell’Eurozona il tasso medio è stato del 34%. In Germania il peso fiscale implicito sul lavoro nel 2010 era al 37,4%, in Francia al 41%, in Spagna al 33%, in Austria al 40%, in Portogallo al 23,4%, nel Regno Unito al 25,7%. La media dell’Ue a 27 si attesta invece al 33,4%.
Ecco la tabella:

Tanto per cambiare ecco dei grafici della Banca d’ Italia che dimostrano il rallentamento dell’ economia della nostra Penisola:


 
Si può notare però che il tasso di inflazione non scende nonostante il calo dei prezzi alla produzione. In pratica, gli industriali mantengono inalterati i prezzi per fronteggiare le minori vendite. Si scarica sul consumatore finale la crisi (come avviene sempre).
Fonte: finanzanostop







LA POLITICA DELLA MERKEL HA DISTRUTTO L'EURO


La moneta unica europea sembra vicina a spezzarsi: l'austerità imposta dalla Germania ci sta soffocando.Dalla Francia alla Grecia i popoli si stanno ribellando al rigore

 L’EURO RISCHIA davvero di non esistere più. L’area della moneta unica schiacciata ormai con evidenza dal peso del rigore voluto dalla Merkel non è mai stata così vicina a frantumarsi come in questo momento.

NELL’EUROGRUPPO la tensione è altissima, e la Grecia può innescare la fine dell’intera zona euro. D'altronde i Paesi europei ormai non riescono più a reggere il peso del rigore e il buio totale sul futuro.

E LA SITUAZIONE è la stessa in gran parte d’Europa. In Grecia sono stati massacrati i partiti che si erano uniti nel governo voluto dalla Merkel, ed oggi è sempre più  probabile che il fallimento di ogni trattativa per la formazione di un nuovo governo porterà la Grecia all’uscita dall’euro.

LA STESSA COSA si è verificata nelle amministrative italiane dove sono stati puniti duramente, tutti i partiti che hanno sostenuto il governo  Monti, servo del rigore voluto dalla Merkel.

IN FRANCIA hanno fatto uscire di scena Sakozy e il nuovo presidente  Hollande è intenzionato a rimettere in discussione il fiscal compact che incombe minaccioso su tutta Europa. In Olanda il premier Mark Rutte non ha ottenuto nessuna  maggioranza parlamentare sull’approvazione delle misure di austerità imposte dalla Merkel.

A SETTEMBRE ci saranno le votazioni che con estrema probabilità saranno a favore della destra no-euro. In Irlanda si voterà il 31 maggio per il referendum sul fiscal compact, e ancora una volta l’area dell’euro potrebbe essere messa a rischio dalla scelta di quel Paese. E le stesse elezioni tedesche sono state una durissima punizione per la Merkel.
  
IL BENEFICIO apportato dall’euro è stato inizialmente quello di stabilizzare le economie europee, di tenere un’inflazione bassa, che effettivamente  per dieci anni è stata mediamente del 2%, abbassare il costo del denaro, in modo che tutti potessero accedere a finanziamenti. Ha rappresentato un beneficio per le imprese che dovevano fare investimenti.

STABILITÀ, inflazione bassa, denaro a disposizione di tutti a basso costo e quindi competitività aumentata, Pil in crescita. Queste erano le promesse dell’euro, ma poi qualcosa si è rotto. Oggi non esiste più stabilità, l’inflazione è aumentata, il costo del denaro è aumentato, la sua disponibilità si è ridotta fino alla scomparsa. E tale fallimento è stato aggravato dalle politiche di rigore dell’eurozona, che più vengono applicate, più peggiorano la situazione.

 E OGGI ANCHE economisti che erano a favore dell’euro rivedono le loro posizioni. Soltanto delle svolte radicali in politica economica possono blindare la convenienza dell’Italia a restare nell’eurozona. Al contrario sarebbero più numerosi gli svantaggi dei vantaggi. E come sottolinea il professor Savona, la svolta deve evitare qualsiasi ricetta di inasprimento fiscale.

E L’IDEA DI UNA PATRIMONIALE tanto cara al Pd e alla sinistra italiana sarebbe “l’ultima eresia prima del completo suicidio della politica e dei tecnici”. L’unica cosa positiva è che sia la Merkel che il rigore imposto dai tedeschi oggi in Europa sono in netta minoranza.

QUINDI LA POLITICA dell’eurozona potrebbe essere ribaltata. In Francia c’è un governo forte per farlo, in Italia servirebbe un governo vero, la Spagna non si tirerebbe indietro, Olanda e Irlanda farebbero il loro. Ma se davvero si vuole salvare l’euro, la prima cosa da fare è eliminare il peso tedesco che lo sta distruggendo.
 Luigi Ruggero – professionefinanza.com




LE 26 BANCHE DECLASSATE DA MOODY'S


Solo per dovere di informazione pubblichiamo l’elenco delle 26 banche italiane declassate dai mascalzoni di Moody’s. I giudizi delle agenzie di rating hanno unicamente il valore di turbativa dei mercati, per il resto non misurano nulla, a parte lo sconfinato conflitto di interesse presente tra gli azionisti delle agenzie stesse, che sono, al contempo, tra i maggiori speculatori internazionali.

Ubi Banca e Banco Popolare di nuovo declassati da Moody’s. L’agenzia americana ha tagliato il rating di 10 banche italiane di un gradino, di due gradini per otto banche, di tre gradini per altre sei banche e di quattro gradini per altri due istituti. “La portata dei downgrade è stata limitata da alcuni fattori”, fra i quali la liquidità offerta dalla Bce, che ha “ridotto significativamente il rischio default nel breve termine. Inoltre molte banche hanno rafforzato i loro livelli di capitale”. “Le banche italiane – afferma Moody's - sono particolarmente vulnerabili alle condizioni operative avverse, che causeranno probabilmente un ulteriore deterioramento della qualità degli asset, pressione sugli utili e limitato accesso al mercato. Questi rischi sono esacerbati dai timori degli investitori sulla sostenibilità» del debito italiano che ha contribuito alle difficili condizioni di finanziamento delle banche.
Ecco di seguito i rating delle banche italiane dopo il downgrade di Moody's. Fra parentesi vengono riportati i giudizi dell'agenzia internazionale di rating prima dell'azione di declassamento.

Banca Carige Baa2 (Baa1) Negativo;Banca Marca Credito Cooperativo Baa3 (A) Negativo;Banca delle Marche Ba1 (Baa1) Negativo;Mps Baa3 (Baa1) Negativo;Banca Padovana Credito Cooperativo Ba2 (Ba1) Negativo;Banca Popolare Alto Adige-Suedtir.Volksb Ba1 (Baa1) Negativo;Banca Popolare di Cividale Ba2 (Baa1) Negativo;Banca Popolare di Marostica Ba2 (Baa2) Negativo;Banca Popolare di Milano Baa3 (Baa3) Negativo;Banca Popolare di Spoleto Ba2 (Baa1) Negativo; Banca Sella Holding Baa3 (Baa1) Negativo;BancApulia Baa3 (Baa3) Negativo;Banco Popolare Societa Cooperativa Baa3 (Baa2) Negativo;Banca Italease Ba1 (Baa3) Negativo;Cassa di Risp.di Bolzano-Sudtiroler Sparkasse Ba1 (Baa2) Negativo;Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti Ba3 (Baa3) Negativo;Cassa di Risparmio Cesena Ba3 (Baa3) Negativo;Cassa di Risparmio Ferrara Ba3 (Ba3) Negativo;Credito Emiliano Baa2 (A3) Negativo;Credito Valtellinese Baa3 (Baa1) Negativo;Iccrea BancaImpresa Ba1 (Baa2) Negativo;Intesa Sanpaolo A3 (A2) Negativo;Banca CR Firenze A3 (A2) Negativo;Banca IMI A3 (A2) Negativo;Banca Monte Parma Baa1 (A3) Negativo;MedioCredito Trentino-Alto Adige Baa1 (A2) Negativo;
UniCredit A3 (A2) Negativo; Unione Banche Italiane Baa2 (A3) Negativo.




NEI DATI OGGETTIVI IL FALLIMENTO DEL GOVERNO MONTI


Nel primo trimestre arretra dello 0,8%, record dal 2009.
Il PIL italiano in negativo per il terzo trimestre consecutivo, su base annua il Prodotto scende dell’1,3%. Cresce il valore aggiunto nell’agricoltura, diminuisce quello dell’industria e dei servizi. Crescita zero nell’Eurozona: meglio del previsto….

Il Pil cala ancora, l’Italia è in recessione profonda. Il Prodotto Interno Lordo italiano si è contratto dello 0,8% nel primo trimestre dell’anno rispetto ai tre mesi precedenti e dell’1,3% su base annua, confermando lo stato di recessione dell’economia.
Si tratta del terzo trimestre consecutivo in negativo, dopo il -0,2% del terzo trimestre del 2011 e il -0,7% del quarto. Il risultato congiunturale, sintesi di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura e di una diminuzione di quello dell’industria e dei servizi, è il peggiore dal primo trimestre del 2009, quando si registrò un calo del 3,5% sui tre mesi precedenti.
Il primo trimestre del 2012 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto sia al trimestre precedente sia al primo trimestre del 2011. La crescita acquisita per il 2012 è pari a -1,3%.
I dati sull’economia reale, molto più importante della finanza di carta per determinare lo stato di salute di un Paese e di chi lo abita, a partire dall’inizio del 2012 sono tutti negativi.
Gli impatti del governo Monti, in carica da novembre 2011, e della manovra salva-italia, licenziata dal parlamento a dicembre, non sono stati dei migliori.
Ecco i veri risultati della politica “sviluppo-salva-italia” del governo Monti:
- Immatricolazioni Automobili (Gen-Feb. 2012 – a/a): -17,8% (UNRAE)
- Movimenti aerei passeg. e cargo (Gen. 2012 – a/a): -6,5% (ASSOAEROPORTI)
- Richieste Mutui (Gen. 2012 – a/a): -44,0% (EURISC)
- Inflazione (Feb. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi alla produzione dei prodotti industriali (Gen. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi beni energetici (Feb. 2012 – a/a): +15,6% (ISTAT)
- Consumi petroliferi (Gen-Feb. 2012 – a/a): -8,3% (Destag. -10,0%) (M.SV.EC.)
- Consumi gas (Gen. 2012 – a/a): -4,3% (MIN. SVIL. ECON.)
- Consumi En. Elettrica (Gen-Feb. 2012 – a/a): -0,2% (Destag. -2,0%) (TERNA)
- Produzione Industriale (Gen. 2012 – a/a): -2,1% (Destag. -5,0%) (ISTAT)
- Fatturato industriale (Gen. 2012 – a/a): -1,4% (Destag. -4,4%) (ISTAT)
- Ordinativi dell’industria (Gen. 2012 – a/a): -5,6% (ISTAT)
I dati si riferiscono tutti al rapporto anno su anno, ossia il raffronto tra il periodo analizzato nel 2012 (generalmente gennaio, oppure il bimestre gennaio-febbraio) e il medesimo periodo dell’anno precedente.
EUROZONA, MEGLIO DEL PREVISTO – In linea con le aspettative (o forse anche qualcosa in più) il Pil europeo nel primo trimestre 2012. L’area euro ha fatto registrare ’crescita zero’: secondo la stima preliminare diffusa da Eurostat il Pil totale dell’Unione valutaria non ha mostrato variazioni rispetto ai tre mesi precedenti. Questo significa che l’eurozona ha evitato la recessione tecnica.
Il dato si è rivelato migliore rispetto alle attese: in media gli analisti si attendevano una contrazione dello 0,2 per cento dopo il meno 0,3 per cento subito dal Pil dell’area euro negli ultimi tre mesi del 2011.
Variazione nulla anche nel confronto su base annua. Crescita a zero anche guardando a tutta l’Unione europera a 27 dai tre mesi precedenti, mentre nel confronto annuo il Pil ha segnato un limitato più 0,1 per cento. Il dato generale sembra riflettere una dinamica ben più solida del previsto dal parte della Germania, prima economia dell’area valutaria che nei primi tre mesi dell’anno ha visto il Pil aumentare dello 0,5 per cento dai tre mesi precedenti e dell’1,2 per cento su base annua. La Francia ha invece registrare una crescita a zero dai tre mesi precedenti e un limitato più 0,3 per centro su base annua
Ora non ci resta che aspettare,  François Hollande è il settimo presidente della Repubblica Francese. Il leader socialista ha prestato giuramento e ha dichiarato: “Sono qui per risanare il Paese”. Il neo presidente, nel discorso di investitura, ha detto che proporrà ai partner europei un patto che unisca politiche di crescita e riduzione dei deficit.
Carlo Sclazotto - finanzanostop

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI (abbiamo fatto i compiti, ma non basta)


 LA CRISI HA radici internazionali e Bruxelles non è stata in grado di gestirla. Monti ha scaricato la catena di suicidi avvenuti per motivi economici che hanno segnato i suoi primi mesi di governo sulle spalle di chi lo ha preceduto.

“LE CONSEGUENZE UMANE della crisi dovrebbero far riflettere chi ha portato l’economia in questo stato e non chi da quello stato sta cercando di farla uscire”, questo è quanto ha saputo dire Monti, sempre più nervoso per l’inefficacia dei provvedimenti adottati e per la fibrillazione dei partiti che lo sostengono, duramente puniti dalle elezioni e quindi tentati di fargliela pagare.

CHE I PROBLEMI dell’Italia abbiano radici lontane è fuori discussione. Ma è grave che Monti parli della crisi come di un qualcosa di esclusivamente italiano, o da attribuire soltanto ai governanti italiani, ignorandone l’origine internazionale e fingendo di non sapere che, a portarci in questa situazione è stata la pessima gestione dell’attacco speculativo da parte della governance europea e in primo luogo della sua amica Merkel.

ED È ASSURDO che se ne tiri fuori proprio lui che ha saputo solo far ricorso ad una tassazione folle , che non poteva non portare l’Italia  in recessione.  Anche perché c’è una pesantissima ombra sulla necessità della bastonata fiscale da 40 miliardi inflitta da Monti non appena insediato per volontà di Napolitano.

DA SEMPRE l’ha giustificata dicendo, “Eravamo sull’orlo del baratro, abbiamo rischiato di non pagare gli stipendi, senza di me facevamo la fine della Grecia”. Ma tra gli economisti i dubbi ci sono sempre stati. Già a dicembre era stato scritto: “Diciamo le cose come stanno. La manovra Monti è stata fatta per compiacere la Germania.

LE PRECEDENTI STANGATE non avevano fatto schizzare abbastanza sangue e, di conseguenza, oltre le Alpi non avevano sentito i lamenti di quei lazzaroni degli italiani. Ora, finalmente, sì. E forse adesso la Merkel acconsentirà a ritoccare un po’ le regole europee”.

E IL GOVERNO SI era guardato bene, dall’ammettere le vere ragioni di tale tassazione. Ma lo stesso Monti ha dovuto ammettere che “La Germania, prima di accettare di discutere di crescita, voleva che gli europei del Sud piangessero un po’. Adesso abbiamo pianto abbastanza”.

QUINDI DOPO cinque mesi di governo, o mal governo, Monti ha dovuto ammettere di aver spolpato l’Italia solo per essere ammesso alla tavola della Merkel e non per un reale stato di disastro dei conti pubblici. Ora sappiamo che non basta, che non basterà mai. Una manovra richiama l'altra, in un circolo vizioso senza fine. La parte destinata alla crescita, viceversa si è insabbiata. Anche perchè le due cose, attivate contemporaneamente, si elidono a vicenda. Non si cresce in recessione, è una contraddizione in termini. Ora Monti e i suoi compagni di viaggio possono tornare a fare i professori, con le cattedre hanno più dimestichezza. Auguriamo a frau Merkel un meritato riposo dopo tante fatiche rigoriste. Speriamo che abbandoni il cilicio per godersi la vita. Anche se, per una volta, siamo d'accordo con Berlusconi e con la sua definizione, poco garbata ma veritiera, della cancelliera tedesca.

fonte: finanzanostop






MARX AVEVA RAGIONE


Ora lo possiamo dire con cognizione di causa: non sarà una grande consolazione, d’accordo, ma è la verità. Marx aveva ragione. Non nel sogno utopistico della costruzione di una società egualitaria e socialista perfetta, nella quale ogni cittadino, alla fine del processo di estinzione dello stato, si sarebbe potuto liberamente espandere ed esprimere a seconda delle proprie inclinazioni e delle proprie passioni. Una volta abolita la proprietà privata, attuata la collettivizzazione delle imprese e delle aziende, soppressa la imposizione fiscale, non più necessaria dal momento che lo stato dovrebbe essere  in grado di garantire tutto quello di cui ha bisogno un uomo, si edifica la società perfetta. Purtroppo, nostro malgrado, conosciamo bene i contenuti del realismo socialista. Si è creata una nomenclatura nel partito unico e la natura umana, altamente corrotta ed imperfetta, ha finito col prevalere. Una casta di politicanti che vivevano nel lusso più sfrenato ed una massa di cittadini livellati e obbligati a fare code di ore ed ore per un paio di calze di nylon. Probabilmente Marx stesso non si nascondeva il pericolo del sopravvento dei tornaconti personali sul sogno di costruzione della società perfetta. Ma in un aspetto, senza ombra di dubbio, Marx ha detto il vero: l’analisi del capitalismo, soprattutto quella del suo ciclo involutivo, è quasi perfetta. Marx scriveva che ad un certo momento, le contraddizioni del liberismo sarebbero arrivate ad un punto di non ritorno, di rottura, sino all’implosione del sistema stesso. Quali sono queste contraddizioni? La crescita non può essere indefinita, come suggerisce la dottrina capitalistica, si arriva ad un certo punto nel quale i consumi interni di un paese non reggono più il ritmo della produzione, oltre questa soglia comincia la parabola discendente del sistema. Un sistema che non mette al centro l’uomo e le sue necessità, l’economia reale, quella derivante dal lavoro, ma il solo profitto, il denaro, il plusvalore generato dal lavoro delle maestranze. La crescita non è illimitata, i paesi più poveri, sfruttati e spremuti come agrumi dai paesi ricchi, presto o tardi presentano il conto, premono alle frontiere. Si crea la globalizzazione: qualsiasi paese al mondo, dalla Cina alla Mongolia è in grado di produrre gli stessi strumenti che fino a ieri erano patrimonio esclusivo dei paesi più ricchi, solo riescono a produrli ad un costo infinitamente inferiore. Il mercato esplode, la vecchia Europa non esporta più una bicicletta, dipende dai paesi una volta più poveri per le materie prime (le commodities) che vengono cedute a caro prezzo. Infine, e qui sta il genio preveggente di Marx, la finanza prenderà il sopravvento sull’economia e sulla politica e dominerà la scena mondiale. La finanza è divenuta “creativa”, si è svincolata completamente dall’economia generata dal lavoro, sposta capitali immensi e determina il futuro e le sorti di intere nazioni. La politica non può che subire tale predominio. E’ quello cui stiamo assistendo: il governo Monti prende ordini da letterine (o pizzetti) della BCE ed esegue punto per punto quello che gli detta la finanza europea, per bocca della BCE e dell’UE. L’Europa si trova sotto l’egida della Germania non perché questo paese sia particolarmente virtuoso o lungimirante: è semplicemente la prima economia europea. Se il cancelliere tedesco Angela Merkel detta l’agenda politica di un intero continente, obbligando tutti i paesi membri a politiche restrittive criminali e suicide di fiscal compact ed austerity, è proprio per questa legge del capitalismo arrivato al crepuscolo che consente all’economia e alla finanza di assoggettare la politica. Se la Merkel è nella realtà dei fatti la governatrice dell’Europa, non è per le sue scarsissime doti politiche (non capisce nulla di economia e ancor meno di finanza) ma solo perché il suo paese è il più forte economicamente e le politiche di rigore e austerità risultano solo convenienti per i tedeschi, ma solo per  loro, a questo punto. Quello che dobbiamo comprendere tutti, a parte la lezione di Marx sul capitalismo, è che dobbiamo spezzare il dominio della finanza sulla politica e la politica deve riprendere il suo posto più naturale: amministrare la cosa pubblica, compresa l’economia, e, soprattutto, imporre regole alla finanza, che deve smettere di essere banditesca e sovversiva. Tutti abbiamo compreso che il capitalismo ha fallito ed è al tramonto: dobbiamo restituire alla politica il suo ruolo. E gente come la Merkel deve tornare a fare quello che le compete: governare un paese nel quale è stata regolarmente eletta. Il governo dell’Europa è un’altra cosa, non è affar suo. Prima comprenderanno i tedeschi questa realtà e meglio sarà per tutti. O tutti finiremo nella catastrofe, Germania compresa. Non basta fare uscire la Grecia dall’Euro, senza l’euro la Germania sarebbe perduta perché a differenza di quello che credono i tedeschi, il loro benessere si fonda proprio sull’euro e sui paesi in sofferenza come il nostro. Vediamo un piccolo esempio di quello che scriveva Marx a proposito delle future sorti del capitalismo:

“Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell’altro una forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l’uomo è soggiogato e ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa di produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro.
Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità di denaro diventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto ogni essere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio movimento a mera quantità. La sua vera misura è di essere smisurato e smoderato. Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava – schiava ingegnosa e sempre calcolatrice – di appetiti disumani, raffinati, innaturali e immaginari; la proprietà privata non sa fare del bisogno grossolano un bisogno umano; il suo idealismo è l’immaginazione, l’arbitrio, il capriccio.”
Carlo Marx

Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"

Non si può continuare a trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto. Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo, un circolo vizioso che conduce alla depressione e alla fine del sistema.
Aggiungo, a margine, un piccolo consiglio, rivolto a chi volesse approfondire la questione senza esserer obbligato alla impossibile lettura del “Capitale”: un libro di uno dei massimi filosofi del ‘900, di area hegeliana e marxista, esponente della scuola di Francoforte, Theodor Adorno, autore di un’opera bellissima e ardua, ma di una straordinaria, sconvolgente attualità: i “MINIMA MORALIA”.

IL DISAVANZO NEI GRAFICI


Il grafico dell’Economist ci mostra deficit e surplus degli Stati nel corso degli anni.
L’Economist ha pubblicato un grafico che mostra i bilanci degli ultimi anni dei paesi più ricchi. Come si nota, questi sono stati molto spesso in disavanzo, nonostante alcuni paesi siano riusciti a invertire la tendenza, ad esempio la Germania.
La situazione dell’Italia è davvero sorprendente.
Il nostro paese è infatti primo nella classifica dal 1978 al 2001 per disavanzo: ben 34 anni con un -7% sul PIL.
Lo stesso vale per Grecia e Portogallo dal 1995 al 2011

Fonte: finanzanostop

 

LE LACRIME NON SERVONO

Perchè gli imprenditori italiani non sono solo vittime ma anche causa dei loro mali.

Per una volta tanto fatemi riportare il feedback che deriva dalla mia stessa sfera professionale, sono stanco di sentire che gli unici colpevoli di quello che sta accadendo sono solo le banche ed i politici. Troppo facile. Ancora una volta esce la genetica italiana che ci porta a banalizzare o giustificare sempre adducendo alla pratica dello scarica barile. Quante volte ho sentito fino alla nausea: la banca mon mi presta denaro, la mi azienda è in diffcoltà perchè alcuni clienti non mi pagano, questa classe politica rappresenta una banda di cialtroni e ladroni. Sempre tutto troppo facile, quasi scontato. Non che voglia difendere l'operato del sistema bancario o la classe politica attuale: Dio ce ne scampi, ma nemmeno sorbirmi senza controbattere la ballata dei piagnistei. Fermiamoci un momento: le banche prestano ancora, prestano ad aziende che esportano, copiosamente patrimonializzate, con un management credibile ed autorevole, con un mercato in crescita o in fase di maturazione. 

Le banche invece non prestano a piccole aziende sottocapitalizzate con una governance costituita da imprenditori privi di effettive doti manageriali in un mondo che sta cambiando velocemente. Soprattutto non si presta a chi è sottocapitalizzato: grosso modo quasi tutte le piccole e medie imprese italiane sono caratterizzate da questa condizione. Sono proprio queste aziende adesso ad essere in agonia finanziaria proprio perchè hanno basato la loro crescita sempre e solo confidando sull'indebitamento a fisarmonica con banche a breve termine piuttosto che ricercare partner in capitale di rischio. Questa è la motivazione principe che porterà molte piccole aziende a morire: la gelosia nel voler preservare a tutti i costi il proprio orticello di casa. A fronte di questo le aziende italiane hanno modeste dimensioni (anche nei capitali e nel patrimonio) e non fanno rete tra di loro, in quanto l'imprenditore italiano medio è un grande creativo è un grande lavoratore, ma purtroppo anche un grande individualista.

Chi è piccolo deve (per sopravvivere) pensare in grande, quindi aumentare la propria dimensione, magari anche fondendosi o aggregandosi in linea orizzontale o verticale (con diretti concorrenti o con i suoi stessi fornitori): questo con il fine di ottimizzare le economie di scale, acquisire una maggiore quota di mercato o avere un potere contrattuale più vigoroso anche con il sistema bancario stesso. Piccolo è bello, ci hanno insegnato all'università, il modello del Nord Est è il vanto dell'Italia nel mondo. Tutte belle parole che ormai appartengono ad un passato ancora presente. Tutto questo non funziona più, anzi è sicuramente la strada della rovina e dell'insuccesso imprenditoriale. Con una concorrenza sfrenata ed aberrante proveniente da oriente, molti saranno obbligati ad uscire dal mercato per non affondare. Basta fare impresa pensando che sia la banca che deve fare da polmone finanziario: il futuro è nelle mani di chi con lungimiranza condivide il rischio ed il profitto della sua mission imprenditoriale con partner finanziari privati.

Vi racconto questo (non per farmi pubblicità, ma per fini giornalistici): amministro un incubatore finanziario che gestisce in proprio anche un piccolo comparto di private equity, sostanzialmente si presta denaro sotto forma di capitale di rischio a piccole imprese che vogliono sgravarsi dalle banche e intraprendere un nuovo percorso di crescita abbattendo soprattutto gli oneri finanziari. La maggior parte degli incontri che faccio con piccoli imprenditori proponendo un ingresso nel loro assetto societario, apportando iniezioni di liquidità, terminano con questa esternazione: non mi interessa ricevere denaro con chi vuole mettere il muso nei miei affari, preferisco tenermi la banca e stare in affanno. Tutti questi sono già morti e non lo sanno (molti stanno ancora in piedi perchè hanno ipotecato la villa o messo a disposizione i risparmi di una vita per foraggiare aziende ormai morenti). Solo chi abbraccia ed è sensibile a questa fase di rinnovamento epocale riuscirà a sopravvivere, gli altri stupidamente per una puerile gelosia saranno spazzati via o acquistati dalla concorrenza in asta fallimentare.
Eugenio Benetazzo – eugeniobenetazzo.com





L'AUSTERITA' DELLA MERKEL CI PORTERA' ALLA ROVINA


Al punto in cui siamo arrivati, anche i tedeschi (Der Spiegel) cominciano ad averne abbastanza delle politiche recessive della Merkel

Lo scrive il premio nobel Paul Krugman sul New York Times di oggi. L’ austerity non sta funzionando, serve un’alternativa a livello europeo se si vuole che l’ Euro sopravviva, in caso contrario i membri europei periferici andranno incontro ad un’ austerità senza fine, oppure all’ uscita dalla moneta unica.
“50 anni fa ogni studente che avesse letto il manuale ECONOMICS di Paul Samuelson, sapeva che ricorrere all’austerità durante una depressione è una cattiva idea”.
Per rilanciare l’economia non servono più tasse, ma più equità e creazione di posti di lavoro che si ottiene con investimenti privati e pubblici. Il PIL consiste in Consumi + Investimenti + Spese Governative. Dovrebbe essere ovvio che: chi non guadagna non consuma, se non si investe, non si acquista mercato e non si crea lavoro. Se i governi non investono, manca un fattore essenziale della crescita. L’ austerity aggrava solo la recessione, ma l’ Eurozona sembra fare orecchie da mercante, come si dice: ” non cè peggio sordo di chi non vuol sentire “………………..
Il grande Crack del ’29, fu preparato da un’eccessiva apertura del credito, simile a quella dal 1980 al 2000. Seguito poi dal credit crunch, forti cali della produzione industriale, aumento della disoccupazione che arrivò al 30%, diminuzione degli scambi commerciali e il crollo abissale dei consumi. Ecco un grafico che mette in allarme:

 
Ecco l’ indice PMI,l’ indice macro settoriale in Europa è il peggiore tra le varie macroeconomie.:


E infine, La disoccupazione:


 Fonte: finanzanostop