Questo portale della finanza è stato pensato per radunare in un unico sito tutte le notizie, gli indici, le analisi fondamentali e tecniche, le schede analitiche, le raccomandazioni, i giudizi, le valutazioni e le utilità inerenti la finanza di casa nostra e internazionale. Gli indici di Borsa in tempo reale sono immediatamente accessibili, tutte le altre utility vengono di seguito. Si ringraziano le fonti dalle quali abbiamo attinto i links, si tratta dei siti di settore di maggiore prestigio e attendibilità. Buona lettura a tutti.

Le quotazioni sono offerte da Investing.com Italia.

SINTESI DELLA GIORNATA FINANZIARIA DEL 2 APRILE 2014



Piazza Affari ha tirato il freno dopo i rialzi delle ultime sedute. Nei primi scambi l’indice Ftse Mib era riuscito a portarsi sopra quota 22.000 punti, soglia che non veniva violata da inizio maggio del 2011, per poi ripiegare in territorio negativo ed arrivare a chiudere con un ribasso dell’1,02% a 21.692 punti. Domani l’attesa è tutta rivolta alla riunione della Bce, soprattutto dopo l’ennesimo calo dell’inflazione nell’Eurozona. Christine Lagarde, numero uno del Fmi, ha dichiarato che nella zona euro sta emergendo il rischio di una bassa inflazione che potrebbe avere effetti negativi su crescita e occupazione. Lagarde ha quindi ribadito la necessita di un allentamento monetario. Sul fronte macro ha deluso lievemente le attese il sondaggio ADP di marzo che ha evidenziato negli Stati Uniti la creazione di 191 mila nuovi posti di lavoro nel settore privato, comunque in rialzo rispetto ai 178 mila del mese precedente.

Dopo il rally delle ultime sedute le prese di beneficio hanno prevalso sui titoli del comparto bancario: Banco Popolare ha ceduto l’1,73% a 15,25 euro, Montepaschi l’1,38% a 0,278 euro, Popolare di Milano il 2,47% a 0,71 euro, Intesa SanPaolo il 2,36% a 2,472 euro, Ubi Banca l’1,94% a 7,04 euro, Unicredit il 2,15% a 6,585 euro. In rosso la galassia del Lingotto: Fiat ha perso il 2,45% a 8,55 euro, mentre CNH Industrial è arretrata dello 0,95% a 8,305 euro. Iveco ha fatto sapere di aver sospeso con effetto immediato le proprie attività produttive in Venezuela. Prysmian (+1,73% a 18,79 euro) sotto i riflettori dopo che la Commissione Ue ha deciso che tra il 18 febbraio 1999 e il 28 gennaio 2009 i maggiori produttori mondiali di cavi, tra cui Prysmian Cavi e Sistemi, hanno posto in essere condotte restrittive della concorrenza nel mercato europeo rispettivamente dei cavi elettrici sottomarini e di quelli terrestri ad alta tensione. Contro questa decisione Prysmian presenterà ricorso al Tribunale dell’Unione Europea. Brillante Moncler (+2,25% a 12,68 euro) in scia alla promozione arrivata da Ubs che ha alzato il giudizio sul titolo del gruppo dei piumini a neutral dal precedente sell dopo la recente underpeformance dell’azione rispetto al mercato.
Finanza.com

CREDIT SUISSE: L’AZIONARIO ITALIANO RESTA IL NOSTRO PREFERITO
L’azionario europeo resta una della principali idee di investimento di Credit Suisse. In particolare, gli analisti della banca svizzera hanno messo in evidenza l’Italia come loro mercato favorito. "Questo sulla base della sua valutazione, del miglioramento della dinamica macroeconomica ed economica e della solidità del sostegno tecnico”, scrive il broker elvetico in un report datato 26 marzo. Nonostante la recente sovraperformance di Piazza Affari, Credit Suisse non smette di vedere un forte interessamento da parte degli investitori che ha il potenziale di sospingere ulteriormente il mercato.
 
Al contrario gli esperti hanno assunto un atteggiamento piuttosto prudente sul mercato azionario tedesco per via della valutazione elevata e di alcuni rischi correlati alla Russia. Il giudizio rimane invece neutrale sulla Spagna e sulla Francia. "Per l’Europa continuiamo a prediligere i titoli finanziari e il settore IT, mantenendo i titoli industriali su un livello neutrale”, scrivono gli analisti nel report.

Oltre all’azionario, l’analisi di Credit Suisse tocca anche il capitolo del reddito fisso dove vengono preferiti i Paesi periferici rispetto a quelli core. "Sebbene sia i rendimenti italiani che spagnoli siano calati ancora, essi hanno certamente il potenziale di scendere ulteriormente nel caso dell’Italia”, sottolinea il broker svizzero.

Per le obbligazioni di Germania e Francia gli analisti mantengono il loro giudizio secondo cui l’esiguo spread della Francia non compensi il rischio finale rimanente. "Sebbene i rendimenti periferici possano calare ulteriormente, ciò appare meno probabile per i mercati core”, spiega Credit Suisse che pertanto mantiene una duration più corta sull’obbligazionario dei Paesi core.
Finanza.com

PRADA: UTILE 2013 FERMO, PESA SUPER EURO
Utile fermo per Prada nel 2013, penalizzato dalle perdite su cambi. Il rafforzamento dell'euro ha infatti penalizzato i conti 2013 del gruppo del lusso che ha riportato un utile netto di 627,8 milioni di euro, il flebile rialzo dello 0,3 per cento rispetto all’esercizio precedente. prada rimarca come a penalizzare il risulta netto 2013 siano state le perdite su cambi e un maggiore carico fiscale. Il consensus Bloomberg indicava una crescita dell'utile netto 2013 a 656,3 mln di euro.  
Il Cda del gruppo guidato da Patrizio Bertelli ha pertanto proposto la distribuzione di un dividendo pari a 11 centesimi di euro per azione, che sarà sottoposta all’approvazione dell’Assemblea degli Azionisti  convocata per il prossimo 22 maggio. 
Bertelli a febbraio aveva anticipato che la volatilità dei tassi di cambio e le difficoltà del contesto economico in Europa hanno fatto da freno al gruppo nel corso del 2013. L'Europa rappresenta più della metà dei ricavi del gruppo. 

Ricavi in crescita dell'8,8% a 3,58 mld
Il gruppo ha riportato ricavi netti consolidati pari a 3.587,3 milioni di euro, in crescita dell’8,8% (a cambi costanti + 13,3%), rispetto a 3.297,2 milioni di euro dell’esercizio 2012.  L’ebitda è cresciuto dell’8,6% rispetto al 2012 e ha raggiunto 1.143,2 milioni di euro,  mantenendo stabile l’incidenza sui ricavi, pari al 31,9%.  Anche l’Ebit si presenta in crescita del 5,6% e si attesta a 939,2 milioni di euro. 

A livello di aree geografiche Prada ha registrato in Europa una crescita dei ricavi del 4,8%, (+6% a cambi costanti)  interamente ascrivibile al canale retail, (+10,9% a cambi costanti). Progresso a doppia cifra nel mercato americano (+10,9%) e in quella dell'Asia Pacifico (+11,4%)
Finanza.com

PENSIONATI, IL 42,6% SOTTO I MILLE EURO
In Italia nel 2012 il 42,6% dei pensionati ha percepito un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese. Considerando che i pensionati sono 16,6 milioni (circa 75 mila in meno rispetto al 2011) si tratta di circa 7 milioni di persone. Il 38,7% invece ha percepito tra 1.000 e 2.000 euro, il 13,2% tra 2.000 e 3.000 euro, il 4,2% tra 3.000 e 5.000 euro mentre il restante 1,3% percepisce un importo superiore a 5.000 euro. E' quanto emerge dai dati rilevati dall'Istat, insieme con l'Inps, che fa notare come nel 2012 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, pari a 270.720 milioni di euro, è aumentata dell’1,8% rispetto all’anno precedente, mentre la sua incidenza sul Pil è cresciuta di 0,45 punti percentuali (dal 16,83% del 2011 al 17,28% del 2012). Le pensioni di vecchiaia assorbono il 71,8% della spesa pensionistica totale, quelle ai superstiti il 14,7%, quelle di invalidità il 4%; le pensioni assistenziali pesano per il 7,9% e le indennitarie per l’1,7%.
Sempre nel 2012 i pensionati cosiddetti d'oro hanno rappresentato lo 0,1% del totale. L’importo medio annuo delle pensioni è stato pari a 11.482 euro, 253 euro in più rispetto al 2011 (+2,3%). Le donne rappresentano il 52,9% dei pensionati e percepiscono assegni di importo medio pari a 13.569 euro (contro i 19.395 degli uomini); oltre la metà delle donne (52%) riceve meno di mille euro al mese, a fronte di circa un terzo (32,2%) degli uomini. Il 47,8% delle pensioni è erogato al Nord, il 20,5% nelle regioni del Centro e il restante 31,7% nel Mezzogiorno. Le persone che hanno iniziato a percepire una pensione nel 2012 (i nuovi pensionati) sono 626.408, mentre ammontano a 701.101 le persone che nel 2012 hanno smesso di esserne percettori. Il reddito medio dei nuovi pensionati (14.068 euro) è inferiore a quello dei cessati (15.261) e a quello dei pensionati sopravviventi (16.403), che già nel 2011 percepivano almeno una pensione. Il 26,5% dei pensionati ha meno di 65 anni, il 50% ha un’età compresa tra 65 e 79 anni, il 23,5% ha più di 80. Inoltre, il 67,3% dei pensionati è titolare di una sola pensioni, il 24,9% ne percepisce due e il 6,5% tre. Il restante 1,3% è titolare di quattro o più pensioni.
Finanza.com

PIAZZA AFFARI SUPERA  I 22.000 PUNTI PER LA PRIMA VOLTA DOPO MAGGIO 2011
Dopo un mese di marzo decisamente brillante, questa mattina a Piazza Affari l’indice Ftse Mib si è portato sopra quota 22.000 punti, soglia che non veniva oltrepassata dall’11 maggio del 2011. Da inizio anno il paniere principale della Borsa di Milano ha messo a segno un rialzo di oltre 15 punti percentuali e l’accelerazione decisiva è arrivata proprio a marzo quando il Ftse Mib ha mostrato un progresso dell’11 per cento. Il traino è arrivato dal comparto bancario, come dimostra il +23% segnato dall’indice Ftse Italia All Share Banks.

La sponda al forte rimbalzo delle banche è stata servita dal continuo calo dello spread Btp-Bund, ora in area 170 punti base, con il rendimento del bond decennale italiano sceso al 3,29 per cento. Per il momento gli investitori non sembrano preoccuparsi dell’imminente esame sulla qualità degli attivi che sarà condotto dalla Banca centrale europea e dalla tornata di ricapitalizzazioni che toccherà alcuni dei principali gruppi bancari del Paese. Oltre al Banco Popolare, al terzo giorno dell’aumento, le prossime operazioni riguarderanno Mps, Popolare di Milano e Banca Carige.

Questa settimana l’attesa degli investitori è rivolta alla riunione della Bce, in programma domani, soprattutto dopo l’ennesimo calo dell’inflazione nell’Eurozona. A marzo l’inflazione si è attestata allo 0,5% rispetto allo 0,7% del mese precedente. Oltre a deludere le attese degli analisti si tratta anche del livello più basso dal novembre del 2009. Dopo il dato sono quindi aumentate le probabilità di un’azione della Bce volta a contrastare le pressioni deflattive.
Finanza.com

EUROPA SEMPRE PIU’ A RISCHIO DEFLAZIONE. COSA FARA’ DRAGHI?
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha nuovamente esortato i Paesi dell’area euro a non vanificare gli sforzi fatti sul risanamento dei conti pubblici. Tanto più, ha affermato oggi nella conferenza stampa al termine dell’Eurogruppo informale ad Atene, che questi progressi sono stati ottenuti al prezzo di “tanti sacrifici e fatica” in questi anni.
Per Draghi l’Eurozona sta avendo una ripresa “graduale anche se modesta”. Il banchiere di Francoforte ha poi sottolineato che è troppo presto per dire qualcosa sulle banche di questo o quel Paese o sul sistema bancario nel suo complesso. Si è limitato a osservare che negli ultimi sei mesi molte banche si sono ricapitalizzate, hanno venduto asset, stanno migliorando.
Intanto, però, lo spettro deflazione si aggira sull’Europa. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eurostat l’inflazione dovrebbe attestarsi allo 0,5% a livello tendenziale a marzo, in calo rispetto allo 0,7% di febbraio. Tali stime sull’inflazione potrebbero influenzare la decisione del consiglio direttivo della Bce che si riunirà giovedì, alla luce degli ultimi dati sui prezzi al consumo rilasciati dalla Spagna e dalla Germania, nel tentativo di scongiurare il rischio deflazione.
L’inflazione ha rallentato anche in Italia. Lo scorso mese, secondo le stime preliminari dell’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,1% rispetto al mese precedente e dello 0,4% nei confronti di marzo 2013, in decelerazione rispetto a febbraio (+0,5%). Gli investitori guarderanno, dunque, con particolare attenzione alle parole che pronuncerà Draghi in conferenza stampa giovedì dopo la riunione della Bce. Per questo oggi non ha voluto rilasciare commenti sulla politica monetaria.
Ma “il dato pubblicato ieri sull’inflazione europea non lascia spazio a interpretazioni e giovedì l’Istituto centrale europeo non ha più scuse per non intervenire, come sempre, in ritardo, per tentare di arginare una situazione che purtroppo è figlia del non interventismo”, prevedono gli esperti di Fxcm.
Dal momento che il Consiglio della Bce aveva indicato quali condizioni per ulteriori interventi di politica monetaria o un aumento indesiderato dei tassi di mercato monetario o un peggioramento dello scenario di crescita e inflazione, anche gli economisti di Intesa Sanpaolo ritengono che gli ultimi dati accrescano le probabilità di assistere a un nuovo taglio del tasso di rifinanziamento principale già a partire dalla riunione di questa settimana.
L’intervento sui tassi in ogni caso conserverebbe un valore più che altro segnaletico, mentre per sostenere la dinamica dei prezzi l’Eurotower potrebbe decidere per la sospensione della sterilizzazione degli acquisti fatti con il Security Market Program (SMP) o per un taglio dei tassi sui depositi. “Anche alla luce delle recenti aperture della Bundesbank nei confronti di misure più espansive, rimane sul piatto come soluzione estrema nel caso di deflazione dei prezzi, la possibilità del lancio di un programma di acquisto titoli che però per il momento ci appare un’ipotesi remota”, concludono gli esperti di Intesa Sanpaolo.
Finanzainchiaro

IPO, ITALIA USA O CINA, E’ BORSA MANIA
Un totale di 239 transazioni per una raccolta di circa 45 miliardi di dollari. Si è chiuso così il primo trimestre del 2014 del mercato mondiale delle Ipo, che verrà ricordato come il trimestre più attivo dal 2011. Rispetto al primo trimestre dello scorso anno, infatti, si è registrato un incremento nel numero di operazioni del 47% e una crescita del capitale raccolto dell’82% (163 operazioni per circa 25 miliardi di dollari. Questo quanto risulta dall’ultimo Global IPO Trends di EY, da cui si apprende che le attese, per l'anno in corso non sono da meno. Che sia in Italia, in Cina o negli Stati Uniti, il 2014 sarà infatti un anno brillante per le Ipo.
Si prevede che per il secondo trimestre, così come per tutto il 2014, il mercato continuerà a seguire la traiettoria positiva delineata in questa prima parte dell’anno” spiega Paolo Zocchi, Strategic Growth Markets leader di EY Med di EY, che poi aggiunge che, sconvolgimenti geopolitici a parte, i fondamentali economici sicuri e la forte liquidità globale che favorirà le quotazioni, sono segnali di prospettive molto positive. “Crediamo che l’attività di Ipo proseguirà con vivacità nei mercati di tutto il mondo e nei diversi settori, inclusi quello delle tecnologie, real estate, energy e health care”, dichiara Zocchi. In pratica, secondo l'esèerto, la combinazione di indici equity in crescita e la bassa volatilità pongono il mercato globale in condizioni di partenza molto favorevoli.
E in tutto il mondo è tornata, con forza, la voglia di Borsa.
In Italia, intanto, c'è forte fermento nell'asset management.  La prima a debuttare è Anima, che dovrebbe sbarcare a Piazza Affari a Pasqua. A seguire dovrebbe essere Fineco (broker online del gruppo Unicredit), la cui quotazione è attesa entro il 2014. Poi c'è tutto il tema delle privatizzazioni, con Poste Italiane in pole position. In generale, però, è il comparto delle pmi quello più effervescente. Da inizio anno ci sono stati, infatti, sull'Aim Italia 5 Ipo. “Il trend positivo di Aim Italia iniziato nel 2013 sta proseguendo anche nei primi mesi di quest’anno”, spiega Barbara Lunghi, Responsabile dei mercati dedicati alle PMI di Borsa Italiana, che poi aggiunge che le nuove generazioni imprenditoriali hanno infatti un approccio più aperto verso il mercato dei capitali.
Ma anche nel resto del mondo, è tornata la voglia di quotarsi in Borsa.
L’Asia, in particolare, si è confermato il mercato più attrattivo nel primo trimestre, con 103 Ipo e una raccolta complessiva di 16,9 miliardi. Le operazioni in Oriente hanno rappresentato il 43% dei volumi globali e il 38% per capitale raccolto. “Con la riapertura della Borsa cinese che ha registrato il numero atteso di quotazioni e una pipeline di circa 700 aziende pronte a debuttare sul mercato, l’Asia continuerà a registrare un elevato numero di Ipo”, commenta Zocchi.
Quanto al Nuovo Continente, il mercato statunitense continua a essere molto solito. Dall’ultimo Global IPO Trends di EY risulta che si posiziona prima la Borsa di New York e quinto il Nasdaq per capitale raccolto singolarmente. Le due Borse hanno realizzato, infatti, in totale 11,6 miliardi di dollari con 68 operazioni. Inoltre, dal momento che le aziende stanno cercando di cavalcare lo slancio dei mercati finanziari statunitensi, gli Stati Uniti continuano ad attrarre Ipo da tutto il mondo. Le quotazioni straniere hanno rappresentato il 16% delle Ipo degli Stati Uniti per numero e valore (11 operazioni per 1,9 miliardi di dollari) e addirittura si stima che nel corso del 2014 ci saranno operazioni più grandi di queste. Per i prossimi mesi infatti si prevedono quotazioni plurimiliardarie quali Alibaba e JD, che dovrebbero debuttare a breve sul mercato.
Professionefinanza

PIAZZA AFFARI: TITOLI NEL MIRINO
A Piazza Affari l'attenzione è concentrata soprattutto su Carige, Credem, Cir, Finmeccanica e Ansaldo. Ecco, secondo la rassegna Reuters, i principali possibili movimenti attesi.
Fiat. Il titolo potrebbe muoversi in scia alla notizia che il mercato dell'auto in Italia registra un nuovo segno positivo a marzo, con il Lingotto che consolida una quota del 28% circa, timidi segnali di ripresa in una situazione ancora stagnante. Intanto, Chrysler ha venduto a marzo negli Stati Uniti 193.915 veicoli, segnando un rialzo del 13% rispetto allo stesso periodo del 2013. Slitta invece ancora la conclusione del contratto di lavoro dei dipendenti del gruppo Fiat in Italia: il negoziato è stato aggiornato al prossimo 17 aprile per approfondire gli aspetti salariali del nuovo contratto.
Telecom. Titolo ancora sotto i riflettori. In vista dell'assemblea per il rinnovo del consiglio, il proxy adviser Iss suggerisce di votare per lista Assogestioni, mentre sul presidente esprime preferenza sia per Giuseppe Recchi che per Vito Gamberale. Intervistato dal Corriere della Sera, Recchi dice che sarà il garante di tutti i soci e che il suo ruolo sarà spronare il board.
Mediaset. Il titolo potrebbe reagire in seguito alla notizia di Repubblica che scrive che la decisione dell'AgCom di calcolare il canone sulle frequenze non più in base al fatturato rischia di causare per lo Stato una perdita di 40 milioni nel 2014.
Intesa. Il titolo potrebbe muoversi dopo la notizia che Compagnia di San Paolo non sta valutando la cessione di quote della banca. Lo ha detto il presidente Luca Remmert.
Banco Popolare. Titolo sugli scudi. Il Sole 24 Ore riferisce di un crescente interesse dei fondi Usa per la banca italiana, intanto il Cda ha confermato Pier Francesco Saviotti come amministratore delegato e ha nominato i comitati interni della banca e il comitato esecutivo.
Mps. Titolo ancora sotto i riflettori di Piazza Affari. Il Sole 24 Ore scrive che andrà sul mercato anche il 3% del capitale in mano alla Fondazione non vincolato al patto con Fintech e Pactual. Intanto, la Repubblica dedica un reportage alla banca senese, sottolineando il distacco dalla città. In un articolo dedicato agli investitori esteri che puntano sulle banche italiane viene riportato che Algebris ha una posizione corta su Mps pari all'1% del capitale: "A 0,14 euro eravamo interessati a comprare Mps", spiega Davide Serra. "Ai prezzi attuali siamo venditori". Il Messaggero scrive, invece, che la Fondazione cerca altri partner per il patto e fa i nomi di Aleotti, Centro Italia e Unicoop. La Stampa aggiunge che il patto con Btg Pactual e Fintech, pubblicato nel fine settimana, dovrebbe avere una durata lunga, fino all'assemblea della primavera 2015. Il Giornale intervista Pier Luigi Piccini, ex sindaco di Siena, secondo il quale "Mps lascerà Siena".
BpmMps. I due titoli potrebbero reagire in Borsa in seguito alla notizia che l'offerta di Anima Holding - il cui capitale è attualmente suddiviso tra Popolare Milano con il 35,29%, Lauro 42 (Clessidra) con il 34,69%, Monte dei Paschi con il 21,63% e Prima Holding con il 4,26% - è stata già coperta una volta al secondo giorno di offerta. Lo ha riferito una fonte vicina alla situazione.
Carige. Titolo in luce a Piazza Affari in scia alla notizia di MF, che arla di riscadenziamento dei debiti della Fondazione, che potrebbe vendere il 20-25% del capitale.
Popolare di Spoleto – Banco Desio. E' stato sottoscritto l'accordo che prevede che l'istituto lombardo rilevi tra il 66,8% e il 72,2% del capitale della banca in amministrazione straordinaria attraverso un aumento riservato di 139.750.000 euro.
Credem. Il titolo potrebbe muoversi in scia alla notiza del Sole 24 Ore, che riporta dichiarazioni di Adolfo Bizzocchi, direttore generale della banca, che dice no ad acquisizioni.
Eni. Il titolo potrebbe reagire alla notizia di MF, che sottolinea che i risultati sui gas tossici fuoriusciti dal giacimento di Kashagan slittano a ottobre.
Finmeccanica – Ansaldo Sts. MF riporta dichiarazioni del vicepresidente di Sts, Andrea Razeto, secondo il quale "Finmeccanica vuole accelerare" la cessione della controllata.
Risanamento. Il titolo potrebbe reagire alla notizia che dopo tante proroghe, si interrompono le trattative con Idea Fimit Sgr, che aveva presentato il 30 luglio scorso un'offerta vincolante per la creazione di un fondo di sviluppo immobiliare per l'area di Milano Santa Giulia. Intanto, il Sole 24 Ore riporta dichiarazioni di Massimo Brunelli, AD di Idea Fimit, che dice di essere uscito da Santa Giulia perché è mancato il sostegno delle banche.
Rcs. Titolo in luce sul listino di Milano. Le proposte del cda di convertire i titoli risparmio e cambiare le regole di nomina dei consiglieri sono un passo verso l'apertura della società al mercato, ha detto l'AD Pietro Scott Jovane. In caso di conversione obbligatoria dei titoli di risparmio in azioni ordinarie, il valore di liquidazione delle azioni di risparmio di categoria A, in relazione alle quali dovesse essere esercitato il diritto di recesso, è stato determinato in 0,872 euro per azione. Il valore di liquidazione delle azioni di risparmio di categoria B è stato fissato invece a 0,519 euro.
Cir. Titolo sugli scudi. Oggi si tiene il vertice delle banche su Sorgenia. Il Sole 24 Ore scrive che il piano di salvataggio potrebbe dividere il controllo tra i creditori, ad eccezione di Mediobanca e Raiffeisen. MF parla di conversione in equity di debito per 300-400 milioni. Il Messaggero aggiunge che le prime cinque banche dovrebbero concedere a breve 65 milioni.
Indesit. Titolo sotto i riflettori. Il Sole 24 Ore parla di corsa a cinque per il socio, con la coreana LG che si è unita ai pretendenti Bosch-Siemens, Whirlpool, Haier e Arcelik.
Piaggio. Il titolo potrebbe reagire alla notizia che S&P ha confermato il rating 'BB-', ma ha rivisto l'outlook a negativo da stabile a causa del peggioramento degli indici di indebitamento e del contesto di mercato debole.
Bonifiche Ferraresi. Il titolo potrebbe muoversi in seguito alla notizia del Sole 24 Ore, che scrive che è in arrivo una seconda offerta per la quota di Bankitalia da parte della cordata di imprenditori italiani guidata da Federico Vecchioni e composta da Cariplo, De Bendetti e Gavio.
Alitalia. Titolo sugli scudi. Ormai finita la due diligence, Etihad svelerà entro qualche giorno una bozza di piano industriale in cui chiede al management italiano vere riduzioni di personale e alle banche creditrici un calo del debito.
Professionefinanza

FALSE PARTITE IVA E CO CO PRO: POLETTI DICHIARA GUERRA
Stretta sulle false partite IVA e i co co pro utilizzati in abuso e mascherando dei veri e propri rapporti di lavoro subordinato. A lanciare la sfida il ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti.
 False partite IVA e co co pro: dalla riforma lavoro Fornero…
 Tempo fa ci aveva già provato la legge di riforma lavoro Fornero, la legge n. 92 del 2012 che aveva introdotto dei requisiti per scovare le partite Iva che dietro una collaborazione nascondono in realtà rapporti di lavoro subordinati. In particolare, ai sensi della legge n. 92/2012,i titolari di partita Iva si presumono collaboratori a progetto se:
  • la collaborazione “fittizia” dura più di 8 mesi nell’arco di un anno;
  • dal rapporto il collaboratore si ricava più dell’80% del corrispettivo verso un unico committente;
  • il collaboratore possiede una postazione “fissa” presso il committente (in un certo senso il collaboratore dovrà avere la sua postazione fissa nell’ufficio, con la sua scrivania). 
Ora il neo ministro del lavoro, Giuliano Poletti si pone come obiettivo quello di rafforzare i controlli sulle false partite IVA, ma anche sui contratti a progetto, i co.co.pro. che vengono usati per  mascherare rapporti di lavoro subordinato vero e proprio. “Una prassi tanto più ingiustificata con i nuovi contratti a termine” – dice il neo ministro Poletti.
False partita IVA e co co pro: come mascherare un rapporto di lavoro
“Il ricorso a contratti di collaborazione a progetto o a partite Iva” – sottolinea Poletti – “è legittimo quando sia giustificato da ragioni oggettive legate alle esigenze produttive ed organizzative delle aziende che vi ricorrono; non lo è quando viene fatto per mascherare un rapporto di lavoro subordinato e per evitare possibili contenziosi, sfuggendo agli obblighi previdenziali ed assistenziali verso il lavoratore che viene così a trovarsi in condizioni di precarietà, con scarse tutele e pressoché inesistenti prospettive di stabilizzazione”. La scelta di rafforzare i controlli sulle false partita IVA ha come obiettivo quello di incrementare i risultati positivi già conseguiti nel 2013 con la “riqualificazione” di 19.000 posizioni lavorative attivate con contratti di collaborazione a progetto e partite Iva, delle quali 15.495 nel settore dei servizi, 1.629 in quello industriale, 1.099 nell’edilizia e 165 in agricoltura.
di Alessandra Caparello
investire oggi

L’ITALIA NELLA MORSA LETALE DEL FISCAL COMPACT

Il Fiscal compact obbliga l’Italia a ridurre di un ventesimo l’anno la distanza che separa il rapporto debito/Pil, visto nel 2014 sopra il 133%, dalla soglia di riferimento del 60%.
In linea di principio il Fiscal compact non è così rigido come lo descrivono certi opinionisti. E non comporta una manovra correttiva di 45-50 miliardi in ciascun anno.
In teoria, per ridurre il rapporto debito/Pil di un ventesimo all’anno è sufficiente mantenere il pareggio di bilancio in termini strutturali — cioè al netto del ciclo e delle una tantum — e avere una crescita nominale (compresa l’inflazione) vicina al 3%.
Il problema è che l’Italia è lontana da queste condizioni. Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Ocse stimano che il Pil di quest’anno crescerà in termini reali dello 0,6%. E dallo scorso ottobre l’inflazione è scesa al di sotto dell’1%. Il deficit strutturale per Bruxelles è oltre lo 0,5% che delimita il pareggio di bilancio.
D’altro canto, la decisione finale sul rispetto delle regole ha margini di discrezionalità politica.
 debito, LE TRE CONDIZIONI
La regola del debito si considera violata se non si rispettano tre condizioni poste in successione.
La prima analisi riguarda la riduzione media del rapporto debito-Pil nell’anno di valutazione e nei due anni precedenti (backward looking rule).
La seconda si riferisce alla riduzione del rapporto nell’anno di valutazione e nei due successivi in base alle previsioni della Commissione europea (forward looking rule).
La terza analizza l’evoluzione del debito nella versione backward-looking tenendo conto, però, di quale impatto abbia avuto il ciclo economico.
Solo se tutte e tre le versioni della regola non sono rispettate, la Commissione può aprire una procedura di infrazione. Può, non deve, perché il Fiscal compact richiede di valutare anche tutta una serie di ‘fattori rilevanti’.
QUANDO SCATTA IL FISCAL COMPACT?
Il Trattato è già in vigore. Per gli Stati membri sottoposti a procedura di deficit eccessivo è previsto un triennio di transizione.
Ne deriva che per l’Italia, uscita dalla procedura di deficit eccessivo nel 2013 in base ai dati del 2012, la prima valutazione sulla regola del debito avverrà nel 2015.
Nel corso del triennio di transizione deve essere garantita una convergenza al valore di riferimento più favorevole fra i tre previsti dal Fiscal compact: benckmark backward looking; benchmark forward looking; benchmark backward looking corretto per il ciclo economico.
L’Italia deve quindi identificare, per ogni anno del triennio di transizione, una “traiettoria di aggiustamento fiscale minima e di tipo lineare” (Mlsa secondo l’acronimo in inglese) che permetta di rispettare la regola del debito al 2015.
L’ITALIA È IN LINEA CON IL FISCAL COMPACT?
La risposta del Tesoro arriverà con il nuovo Documento di economia e finanza (Def), che va presentato in Parlamento entro il 10 aprile.
Tuttavia, qualcosa si può dire già ora. Nel vecchio Def il ministero dell’Economia ha calcolato che il benchmark del debito nella configurazione backward looking fosse pari al 124,1% del Pil nel 2015.
Per lo stesso anno la Commissione europea stima invece un rapporto al 132,4%, superiore di oltre 8 punti.
L’Italia sembrerebbe quindi violare la prima delle tre condizioni stabilite dal Fiscal compact.
Bruxelles non fornisce analisi e previsioni che permettano di capire se l’Italia sia in linea con la forward looking rule e la backward looking rule corretta per il ciclo. Mostra però di avere dei dubbi.
È da metà novembre, infatti, che la Commissione lamenta un’insufficiente correzione del saldo strutturale.
Nelle previsioni d’inverno la Commissione europea dice che l’Italia chiuderà il 2014 e il 2015 con un disavanzo strutturale superiore al mezzo punto di Pil che delimita il pareggio di bilancio, l’altro parametro sancito dal Fiscal compact.
Il governo deve “garantire di essere in linea con la regola del debito”, ha detto giovedì 13 marzo il commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, attraverso il suo portavoce Simon O’Connor.
I FATTORI RILEVANTI
L’Italia ha altre carte da giocare nel confronto con la Commissione europea.
Nel caso in cui l’andamento del rapporto debito/Pil non rispetti la regola del ventesimo, la Commissione è chiamata a redigere un rapporto su un certo insieme di ‘fattori rilevanti’ prima di aprire la procedura di infrazione.
L’elenco comprende: l’andamento della posizione debitoria a medio termine, la struttura per scadenze e i titoli di Stato emessi in valuta diversa dall’euro; le operazioni di aggiustamento stock-flussi del debito; le riserve accantonate e l’attivo del bilancio pubblico; la dimensione delle garanzie pubbliche, specie quelle legate al settore finanziario; le passività, sia esplicite che implicite, connesse con l’invecchiamento della popolazione e quindi l’evoluzione della spesa pensionistica; il livello del debito privato, nella misura in cui rappresenti una passività implicita potenziale per il settore pubblico.
Nel caso in cui la violazione del criterio del debito sia esclusivamente dovuta ai fattori rilevanti (anche nel corso del cosiddetto periodo di transizione) è escluso che lo Stato entri in procedura di infrazione.
I SOSTEGNI AI PAESI IN CRISI
Tra i fattori rilevanti c’è anche il contributo finanziario ai fondi salva Stati europei Efsf ed Esm e i prestiti bilaterali alla Grecia.
Una voce che pesa sul debito pubblico italiano per più di 55 miliardi, o quasi 4 punti, secondo gli ultimi dati di Bankitalia.
Il governo punta molto su questa voce per evitare censure dall’Europa.
La Commissione ribatte che, nel chiedere misure aggiuntive, ha già tenuto conto del contributo italiano ai Paesi in crisi.
fonte: Reuters
Paolo Cardenà per finanzanostop


PERCHE’ L’ITALIA NON PUO’ ISOLARE LA RUSSIA
la cancelliera tedesca Angela Merkel avrebbe potuto spiegare al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama un paio di cosette su come instaurare una qualche forma di dialogo con il Presidente russo Vladimir Putin.
Certo, solo se Obama avesse voluto ascoltarla. Ma Obama ha preferito mettersi a fare il professorino di diritto costituzionale ed ha tenuto una pomposa lezione di fronte ad una
audience di Eurocrati nello scintillante Palais des Beaux-Arts di Bruxelles. Lo ha fatto mercoledì scorso quando ha spiegato che Putin è la più grande minaccia per l’ordine globale che gli USA amministrano dalla seconda Guerra Mondiale. Peccato che non gli sia andata troppo bene: La maggior parte degli Eurocrati presenti ha continuato, indifferente, a prendersi dei selfies o a twittare.
Putin, intanto, incontrava l’Amministratore Delegato del gruppo tedesco Siemens, Joe Kaeser, nella sua residenza ufficiale fuori Mosca. La Siemens ha investito più di 1,1 miliardi di dollari in Russia negli ultimi due anni, e – parole di Kaeser – questi investimenti sono destinati a restare. Angela intanto prendeva certamente appunti.
Obama non poteva comportarsi in nessun altro modo. Un tale esperto di diritto costituzionale non sa nulla sulla Russia, nella sua (scarna) carriera politica non ha mai avuto modo di capire come funziona veramente la Russia, e può anche averne paura, visto da che manica di consulenti di una mediocrità spettacolare si è circondato. Il suo retorico tour de force di Bruxelles non è servito assolutamente a niente – a parte la minaccia che, se Putin dovesse persistere nella sua “aggressione” contro l’Ucraina orientale o anche contro altri paesi membri della NATO il Presidente degli Stati Uniti gli potrebbe appioppare anche un bel pacchetto di sanzioni, stavolta però molto più rigido.
Di nuovo, visto che questo tipo di articolo dell’ex Numero 1 della CIA e ex capo del Pentagono della prima amministrazione Obama, Bob Gates, negli Stati Uniti viene chiamato analisi politica.
L’accordo a un trillione di dollari che cambia il gioco.
Demonizzato ventiquatt’ore al giorno, sette giorni su sette, dalla tentacolare macchina della propaganda occidentale che lo ha disegnato come un aggressore spietato, a Putin e ai suoi consiglieri del Cremlino non resta altro che giocare un po’ all’Antica Arte della guerra di Sun Tzu
Quelli che sono a capo del nuovo regime a Kiev si sono già impantanati in una rissa da osteria [1], e anche il Primo Ministro dell’Ucraina Arsenij Petrovyč “Yats” Jacenjuk vede i tempi duri che si stanno prospettando; infatti, la firma della parte economica dell’accordo di associazione tra Ucraina e Unione Europea è stata rinviata, quindi non ci sarà nessuna “conseguenza negativa” per l’industrializzata Ucraina orientale.
Traduzione: Yats ha già capito che questo sarà il bacio della morte per l’industria ucraina, perché sta per arrivare un aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale, collegato all’UE (forse) che penserà al salvataggio di una Ucraina fallita.
Spengler su Asia Times Online ha coniato una formula: “Uno spettro si aggira per l’Europa, è lo spettro di un’alleanza russo-cinese a spese dell’Europa”. L’alleanza già esiste, nel G-20, con i BRICS e la Organizzazione di Shanghai per la cooperazione. Sono all’orizzonte sinergie tecnologiche e militari; Mosca dovrebbe condividere il suo ultra-sofisticato sistema di difesa aerea S-500 con Pechino che ne sarebbe assolutamente entusiasta. Ma per i fuochi d’artificio veri basterà aspettare poche settimane, quando Putin andrà in visita a Pechino a maggio.
Sarebbe quando è prevista la firma del famoso accordo sul gas da 1.000 miliardi di dollari, secondo il quale la Gazprom fornirà alla Cinese CNPC 3,75 miliardi di metri cubi di gas al giorno per 30 anni a partire dal 2018 (l’attuale domanda giornaliera di gas della Cina è di circa 16 miliardi di metri cubi).
Gazprom raccoglie ancora la maggior parte dei suoi profitti in Europa, ma l’Asia è il suo futuro privilegiato. Sul fronte della concorrenza, la “rivoluzione” dell’iper-pubblicizzato shale gas americano resta un mito – come l’idea che gli Stati Uniti saranno improvvisamente pronti ad esportare gas verso il resto del mondo, in qualunque momento, da subito.
Gazprom utilizzerà questo mega-accordo per stimolare gli investimenti nella Siberia orientale – che prima o poi verrà configurata come hub privilegiato per le spedizioni di gas sia per il Giappone che per la Corea del Sud. Questo è, in sostanza, il vero motivo per cui l’Asia non “isolerà” la Russia. (Vedi L’Asia non isolerà la Russia, Asia Times Online, 25 marzo 2014).
Per non parlare del tanto atteso accordo “termonucleare” (per i petrodollari) e della possibilità che Russia e Cina si accorderanno per fare il pagamento dell’affare Gazprom-CNPC in yuan o rubli. Questa sarà l’alba del nuovo paniere di valute, da usare come nuova moneta di riserva internazionale – uno degli obiettivi più qualificanti che metteranno in campo i BRICS per gestire in un modo nuovo (e incendiario) le relazioni commerciali.
E’ ora di investire nel  Pipelineistan
Anche se la centralità dell’Europa è nulla rispetto a quella dell’Asia, la Russia non può sbarazzarzene, tanto che ci sono stati rumori a Bruxelles da parte di qualche barboncino sull’annullamento dell’uso del gasdotto South Stream – quello che dovrà pompare il gas russo sotto il Mar Nero (aggirando l’Ucraina) verso Bulgaria, Ungheria, Slovenia, Serbia, Croazia, Grecia, Italia e Austria. Il Ministro bulgaro dell’Economia e dell’Energia, Dragomir Stoynev, ha già detto che non se ne parla nemmeno. Lo stesso vale per la Repubblica ceca, perché ha urgente bisogno degli investimenti russi, e dell’Ungheria che ha recentemente firmato un accordo nucleare con Mosca.
L’unica altra possibilità per l’UE sarebbe il gas del Caspio, dall’Azerbaigian – come voleva Zbigniew Brzezinski, usando l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (BTC), concepito espressamente per aggirare sia la Russia che l’Iran. Come se l’UE avesse la volontà, il tempo e i fondi per spendere miliardi di dollari per costruire un altro gasdotto praticamente domani, nella speranza che l’Azerbaigian abbia capacità sufficiente per alimentarlo (cosa che non ha, infatti bisognerebbe coinvolgere altri paesi nel progetto, come il Kazakistan o l’ultra-inaffidabile Turkmenistan, che preferisce vendere il suo gas alla Cina).
A pensarci bene, nessuno ha mai perso un centesimo scommettendo sulla stupidità degli eurocrati di Bruxelles. Il South Stream e gli altri progetti energetici creeranno un sacco di posti di lavoro e di investimenti in molte tra le nazioni che sono più in difficoltà nell’UE. Vogliamo mettere altre sanzioni? Non meno del 91% dell’energia che usa la Polonia, e dell’86% di quella che usa l’Ungheria, arriva dalla Russia. Oltre il 20% dei prestiti in valuta delle banche francesi va a società russe. Non meno di 68 società russe sono già quotate al London Stock Exchange. Per le nazioni del Club Med, il turismo russo è ormai una garanzia (un milione di russi è stato in Italia l’anno scorso, per esempio.)
La “Thinktankolandia USA” sta cercando di ingannare l’opinione pubblica americana per farle credere che l’amministrazione Obama debba mettere in atto una replica della “politica del contenimento” del 1945-1989, per “limitare lo sviluppo della Russia come potenza egemone”. La “ricetta” (che questi cervelloni propongono) suggerisce di armare chiunque e i suoi loro vicini – dalle nazioni baltiche all’Azerbaigian – per “contenere” la Russia. La nuova Guerra Fredda è in corso perché, dal punto di vista delle cosiddette “élite USA”, non è mai veramente finita. source
Nel frattempo, il prezzo delle azioni della Gazprom sta salendo. Comprate. Non ve ne pentirete.
Carlo Scalzotto per finanzanostop

TORNARE ALLE VALUTE NAZIONALI PER SALVARE L’EUROPA
orna alla ribalta la questione dell’abbandono dell’euro per tornare alle vecchie monete nazionali : La moneta unica è clinicamente morta, perlomeno secondo il libro “Casser l’€uro – Pour sauver l’Europe”, scritto dai giornalisti francesi Franck Dedieu, Benjamin Masse-Stamberger, Béatrice Mathieu e Laura Raim.
“Più di dieci anni dopo il lancio dell’euro, la tanto attesa convergenza delle economie non c’è stata, i modelli sociali sono stati smantellati e la speculazione si è scatenata – scrivono i quattro giornalisti economici.
L’enunciazione dei principali mali che oggi rimproverano all’euro :
1. Essere una moneta “made in Germany” perchè la Germania ha un diritto di accesso senza restrizioni tariffarie ai mercati vicini e un tasso di cambio competitivo.
2. L’euro attuale distrugge la crescita. Nel libro è presente un istoriato delle sue performance.
3. E’ una macchina che fabbrica eterogeneità a causa del doping della domanda interna nel sud della Zona euro e uno shock della competitività nel nord.
4. L’euro è uno strumento di dumping sociale : siccome non può essere svalutato, i soli ricorsi esistenti sono la diminuzione della fiscalità o la diminuzione dei salari.
5. La moneta unica è il Cavallo di Troia dell’austerità.
Nel libro, la Banca centrale europea viene giudicata troppo dogmatica e destabilizzante.
La soluzione proposta per uscire dall’euro è la seguente : l’euro non sarebbe più la moneta unica dell’Europa, ma diventerebbe una moneta comune.
Si tornerebbe a un sistema monetario europeo collegando tutte le monete nazionali. Un sistema in versione moderna, con il divieto di vendite allo scoperto e l’obbligo per le banche di pagare una tassa di uscita dei capitali.
Per tornare alle monete nazionali, queste devono avere un valore, il quale sarebbe determinato in rapporto all’euro seguendo la regola del 1 per 1, che consiste nel fissare, temporaneamente, l’unità di ciascuna valuta nazionale all’euro.
In ogni caso è impossibile sopprimere l’euro in maniera definitiva dall’oggi al domani; è necessario che questa moneta sussista di fronte al dollaro come moneta di scambio internazionale.
Rischiocalcolato


PADOAN: NIENTE ASSE ANTI GERMANIA
ATENE (WSI) - Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha respinto oggi l'idea che Italia e Francia possano allearsi per ottenere maggiore flessibilità sui vincoli di bilancio europei sottolineando il fatto che Parigi è sotto procedura per deficit eccessivo e Roma no.

"Non ho visto un asse Italia/Francia, ci sono molti Paesi che devono aggiustare i loro conti, noi non siamo in deficit eccessivo, altri paesi sono in quella procedura e noi difenderemo i risultati acquisiti in termini di stabilità di bilancio", ha detto Padoan al termine dei lavori dell'Ecofin.

L'Italia andrà "avanti con riforme che accelerano crescita e producono risultati sul fronte dell'occupazione".

La Commissione europea ha concesso alla Francia due anni di tempo aggiuntivi, fino al 2015, per riportare il deficit/Pil sotto il 3%.

Ma il disavanzo è sceso nel 2013 al 4,3% invece che al 4,1% previsto e il nuovo governo di Arnaud Montebourg non sembra orientato a nuove misure di austerity.

Ieri Padoan ha fatto capire che l'Italia, il cui debito pari al 133% del Pil è il secondo nella zona euro dopo la Grecia in rapporto al reddito, si aspetta di poter disporre di più tempo per centrare i propri obiettivi di bilancio grazie all'ambizioso piano di riforme delinato da Matteo Renzi.

"Ci sono margini che legano lo sforzo di riforme strutturali, le condizioni eccezionali del debito, alla possibilità di modulare i tempi dell'aggiustamento strutturale, non la direzione", ha detto il ministro a margine dei lavori dell'Eurogruppo.

Fonti governative hanno detto che in occasione del semestre di presidenza dell'Unione europea l'Italia potrebbe spingere per rivedere i termini del Fiscal Compact, che prevede il pareggio strutturale di bilancio e il calo del debito di un ventesimo l'anno nella parte eccedente il 60%.

Il percorso di rientro del deficit strutturale dell'Italia è stato già giudicato insufficiente dalla Commissione europea.

Renzi ha promesso di rispettare gli impegni presi a livello europeo ma ha definito obsoleto quello del 3% sul deficit/Pil.
(Reuters)
Wallstreetitalia

BCE, TROPPO TARDI PER AGIRE, EUROPA AD UN PUNTO DI NON RITORNO?
MILANO (WSI) - Come si osserva agevolmente, buona parte dell'Europa meridionale è in conclamato stato deflattivo. Mentre l'Italia, ormai da diversi mesi, sta flirtando pericolosamente con spinte disinflazionistiche importanti, ed è verosimile pensare che nei prossimi mesi cadrà anch'essa in deflazione, spingendo l'intera area euro verso livelli di inflazione negativi e comunque ancor più lontani dal target della Banca Centrale Europea del 2%.

La deflazione è una diminuzione del livello generale dei prezzi, cioè il fenomeno opposto all'inflazione. Mentre la disinflazione descrive un rallentamento del tasso di inflazione.

La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, che differiscono gli acquisti attendendo ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa.


Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori. La riduzione dei prezzi da parte delle imprese si ripercuote sui ricavi, anch'essi in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.

Ad un minor costo del lavoro, corrisponde una minore capacità di spesa per le famiglia non compensata da una riduzione dell'impatto fiscale, e quindi un livello più basso di consumi che genere ed aggrava la caduta dei prezzi e la spirale deflazionistica.


A questo fenomeno, oltretutto, contribuisce un cambio dell'euro troppo forte che non rispecchia i fondamentali economici dei paesi mediterranei che, con una valuta più debole, potrebbero avvantaggiarsi con maggiori esportazioni, con riflessi positivi anche sulla domanda interna e quindi sul ciclo economico.

Giova anche precisare che, alla luce delle spinte deflazionistiche sopra evidenziate, la situazione risulta ancor più grave proprio per quei paesi che hanno un elevato livello di debito pubblico, come l'Italia. Non solo perché l'Italia è costretta a pagare interessi sui titoli di Stato emessi in epoche precedenti e che quindi incorporano tassi di interessi più alti poiché "viziati" da un maggior livello di inflazione esistente all'epoca dell'emissione, e quindi un maggior onere in termini reali; ma soprattutto perché la caduta del livello dei prezzi determina una contrazione del PIL nominale, e quindi l'impossibilità di poter "diluire" lo stock di debito pubblico che viene espresso in rapporto al PIL.

Ne consegue che ad un minor PIL corrisponde un rapporto debito/Pil maggiore. Questo è tanto più vero e pericoloso proprio nel contesto dell'eurozona, anche alla luce della prossima applicazione del Fiscal Compact che, dai prossimi anni, imporrà agli stati membri la riduzione del rapporto debito/Pil che, entro i successivi venti anni, dovrà essere confinato entro il 60%.

E' chiaro che, in periodi di bassa inflazione o addirittura di deflazione, il percorso di rientro del debito sarà assai più arduo, soprattutto nei primi anni di vigenza delle regole del Fiscal Compact, poiché dovranno implementarsi manovre di riduzione del debito più robuste ed incisive, con effetti ulteriormente recessivi.

Alla luce dei pericoli enunciati nelle considerazioni sopra esposte, non deve affatto sorprendere se Draghi, ormai quasi tutti i giorni, annuncia che la BCE è pronta ad intervenire (puntualizzando sempre che lo farà nei limiti del suo mandato, al fine di non urtare la componente tedesca, maggiore azionista della BCE) per "preservare la stabilità dei prezzi" che, come si osserva da molti mesi, si stanno allontanando sempre più dall'obiettivo target della BCE fissato al 2%, precipitando i paesi dell'area mediterranea verso la deflazione.

Addirittura, qualche giorno fa, il "falco" Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank, nonché custode severissimo del rigore monetario tedesco, magari anche alla luce del risultato elettorale alle amministrative Francesi e delle prossime elezioni europee -attraverso le quali verrà eletto il nuovo Parlamento Europeo- al fine di tentare di arginare l'affermarsi di partiti politici con forti connotazioni antieuropeiste, sembra essersi improvvisamente trasformato in "colomba", aprendo all'ipotesi di un quantitative easing in salsa europea. Possibilità, questa, finora preclusa proprio dall'ortodossia monetaria tedesca.

Quindi, a quanto pare, pur nutrendo forti dubbi sulla possibilità che l'apertura tedesca possa avere riscontri nella realtà, ben presto potremmo assistere ad un ulteriore allentamento monetario da parte della BCE, peraltro auspicato anche dal Fondo Monetario Internazionale e da altre istituzione che esercitano molta pressione sulla BCE affinché intervenga.

Quindi, che potrà fare la BCE, al fine di arginare le spinte deflazionistiche che incombono nell'eurozona?

Sicuramente può intervenire sui tassi di interesse (REFI), tagliandoli. Anche se, con i tassi ad un livello prossimo allo zero (0.25%), i margini di manovra sono assai ridotti e magari lo sono anche gli effetti.

Può intervenire anche sui tassi di deposito delle riserve in Bce, tagliandoli e, addirittura, portandoli negativi.

In pratica, questo tipo di intervento costituirebbe un deterrente per le banche che saranno meno disponibili a sostenere dei costi per depositare la liquidità presso la Bce, cercando forme di impiego alternative, in cuor delle BCE, magari, stemperando la stretta creditizia e prestiti ad imprese e famiglie. [ARTICLEIMAGE]

Ma poiché i maggiori depositari delle riserve presso la Bce, solitamente, sono le banche del Nord Europa, un intervento di questo genere rischia comunque di avvantaggiare ulteriormente le imprese del nord, che si troverebbero ulteriormente finanziate a condizioni imparagonabili rispetto alle concorrenti del sud, che, tuttavia, potrebbero trovare anch'esse sollievo dall'intervento prospettato.

Venendo a misure meno convenzionali, la Bce potrebbe intervenire con una nuova edizione del programma Smp (Securities market program), già sperimentato nel 2011, con il quale furono acquistati sul mercato secondario circa 200 miliardi di titoli pubblici, ma sterilizzando gli acquisti, cioè drenando liquidità per gli stessi importi acquistati.

Cosa che, stando a quanto affermato da Weidmann, potrebbe essere superata purché oggetto degli acquisti siano titoli pubblici di massimo merito creditizio, cioè principalmente tedeschi. Con la conseguenza che l'intervento della Banca Centrale vada a determinare un maggior vantaggio proprio per l'economia più forte, quella tedesca, che godrebbe di rendimenti sui titoli pubblici ancor più ridotti proprio grazie alle pressioni esercitate dagli acquisti delle Bce, che ne schiaccerebbe ulteriormente i rendimenti.

Oppure, ancora, potrebbe intervenire con una nuova edizione di LTRO (Long Term Refinancing Operation), anche'esso sperimentato con successo già alla fine 2011 e inizio 2012, attraverso il quale si permise di sostenere la domanda dei titoli pubblici da parte delle banche dei singoli paesi, sostituendo la domanda estera venuta meno.

Magari una forma più evoluta di LTRO, con meccanismi tali per cui l'intervento monetario della BCE possa veicolare l'impiego della liquidità ottenuta dalle banche nelle attività di finanziamento di famiglie ed imprese. Insomma, una sorta di "funding for landig" sperimentato da Bank of England nel corso degli ultimi anni.

C'è da aggiungere che, qualsiasi politica monetaria la Bce potrà adottare, benché possa essere comunque importante al fine di contrastare le spinte deflazionistiche incombenti sull'Europa, non potrà mai risolvere gli squilibri strutturali presenti tra le diverse aree dell'eurozona.

Ad esempio, se uno degli obiettivi che si intende perseguire è quello di una riduzione del tasso di cambio dell'euro rispetto alle altre valute, è chiaro che ne godrebbero tutti i paesi esportatori, che riacquisterebbero una maggiore competitività nelle esportazioni extra UE.

Un tasso di cambio inferiore, se da un lato migliora la competitività sia dei paesi più deboli (Italia) che dei paesi più forti (Germania),da l'altro lato non consente di migliorare le divergenze strutturali all'interno della stessa area valutaria, e quindi di recuperare la competitività dei paesi mediterranei nei confronti dei Paesi core.

Contrariamente, un recupero della competitività dei paesi del sud rispetto a quelli del nord, si trasformerebbe in maggiori esportazioni verso quest'ultimi, che dovrebbero aumentare la domanda interna, contribuendo al riequilibrio delle bilancia commerciale interna all'eurozona. Circostanza preclusa con una politica monetaria comune.

Con ciò, non si vuole affermare che un'ulteriore allentamento monetario delle Bce non possa avere effetti positivi, soprattutto per arginare evidenti e pericolose spinte deflazionistiche.

Ma una politica monetaria comune in aree economiche strutturalmente differenti che tendono a divergere sempre più, può fare ben poco per riassorbire gli squilibri interni esistenti tra i vari paesi che compongono la moneta unica.
WAllstreetitalia


VENEZUELA ALLA DISPERAZIONE

NEW YORK (WSI) - La situazione in Venezuela si fa sempre più complessa. Al fine di combattere la scarsità di cibo che sta affliggendo il paese, il governo ha deciso di schedare i consumatori, lanciando un sistema di ID, o meglio una nuova carta di identità, per frenare la corsa ai supermercati, che starebbe a suo avviso favorendo i più ricchi.

In virtù del loro portafoglio, i cittadini più abbienti starebbero infatti facendo incetta di beni di prima necessità, lasciando vuoti i negozi.

Il presidente Nicolas Maduro ha precisato anche che le nuove carte d'identità sono state create per monitorare chi specula sulla situazione, facendo acquisti nei negozi e poi rivendono i prodotti illegalmente a cifre molto più alte.

Le registrazioni sono iniziate in più di 100 supermercati gestiti dal governo in tutto il Paese, in un momento in cui per i venezuelani è sempre più difficile trovare prodotti di base importati, come latte, farina, carta igienica e olio da cucina: "Non è bello vedere persone che si trovano a fare file ogni giorno" ha dichiarato una delle tante vittime di questa situazione.

La nuova carta d'identità sarà collegata a un sistema informatico e grazie anche alla lettura delle impronte digitali sarà in grado di controllare gli acquisti.

Il ministro Felix Osorio ha dichiarato che il sistema emette un allarme quando rileva modelli di acquisto sospetti, impedendo ai consumatori di comprare gli stessi prodotti ogni giorno. Osorio ha anche precisato che le carte saranno volontarie, offerte con incentivi come sconti. Ma il National User and Consumer Alliance, associazione per i diritti dei consumatori, paragona il Venezuela a Cuba e parla di razionamento dei beni di prima necessità, prevedendo che presto tutti i cittadini che non aderiranno al programma non potranno fare più spese nei supermecati.

Una madre mentre si avvicinava ad una cassa di un supermercato con zucchero, farina e cereali ha provato a non dare la colpa al governo per questa situazione: "Non so se sia giusto quanto sta accadendo, ma sicuramente se i miei figli piangono, che altro si può fare?" e così dopo una lunga attesa, ha preso ed è andata ad affrontare una nuova lunga coda di cinque ore in un altro supermercato, prima che andasse tutto esaurito.
Wallstreetitalia


DEFLAZIONE E SINDROME GIAPPONESE COSTERANNO 15 MILIARDI ALL’ITALIA

ROMA (WSI) - Non si era mai vista in Europa una banca centrale che porta i tassi d’interesse quasi a zero, annunciando che non li alzerà per un pezzo. Sotto la guida di Mario Draghi, la Bce nell’ultimo anno l’ha fatto. Eppure sul fronte monetario le buone notizie e la voglia di esplorare soluzioni nuove finiscono qua: invece di scendere, il costo reale del denaro per chi ha un debito è salito.

E mentre l’Eurotower richiama di continuo i governi a ridurre il debito, essa stessa rischia di complicare loro il compito: se non verrà contrastata in fretta la minaccia di una caduta dei prezzi, alle condizioni di oggi l’Italia sarà presto costretta a trovare dieci-quindici miliardi l’anno di tasse o tagli di spesa in più (su base permanente) per rispettare il Fiscal Compact europeo. Se suona paradossale, forse è perché non corrono tempi ordinari.

Ad accezione dei mesi seguiti alla caduta di Lehman Brothers, non era mai successo nell’Europa del dopoguerra che l’indice generali dei prezzi cadesse a questa velocità. All’inizio del 2013 l’inflazione della zona euro era attorno al 2%, praticamente in linea con l’obiettivo di stabilità dei prezzi che la Bce è stata creata per assicurare.

Ancora un anno fa l’inflazione dell’area viaggiava all’1,7%, mentre l’Italia era appena al di sotto. Avanti veloce di dodici mesi e il panorama diventa irriconoscibile: a marzo il valore è crollato allo 0,5% in Eurolandia e allo 0,4% in Italia.

Cinque Paesi su diciotto — Slovacchia, Portogallo, Grecia, Cipro e adesso anche la Spagna — sono già scivolati in deflazione: invece di salire i prezzi scendono, rallentando consumi e investimenti perché le famiglie e le imprese rinviano ogni spesa nell’idea che domani costerà di meno. Sull’Europa sembra scendere la stessa cappa che per tanti anni ha cloroformizzato l’economia giapponese.

Durante questo ultimo anno, per la verità, la Bce non è rimasta con le mani in mano. Ha tagliato i tassi di 0,25% a maggio scorso, poi ha replicato in novembre.

A luglio nel frattempo aveva anche promesso che il costo del denaro non sarebbe più salito per molto tempo a venire, senza precisare per quanto. Oggi il tasso principale al quale le banche commerciali europee prendono in prestito il denaro presso gli sportelli dell’Eurotower è allo 0,25%, un minimo che né la Bundesbank, né la Banca d’Italia avevano mai esplorato.

Purtroppo però l’inflazione si è mossa più in fretta della Bce, nella direzione sbagliata. La caduta del costo del denaro è stata di 0,5% in dodici mesi, ma quella dell’indice dei prezzi è stata dell’1,2%.

Con le sue ultime stime dello staff, l’Eurotower ha informato che fallirà al ribasso il suo obiettivo di sta bilità dei prezzi (aumento del costo della vita vicino ma sotto al 2%) per quattro anni di seguito.

Ammesso che sia possibile vedere così lontano, Francoforte dice che forse solo alla fine del 2016 l’indice dei prezzi tornerà dove dovrebbe già stare.

Come nella depressione degli anni ‘30, queste sono ottime notizie per chi vive di rendita, perché l’inflazione non erode un capitale investito. Ma sono terribili notizie per chi ha un debito: i tassi d’interesse tendono a farlo aumentare di continuo, mentre il carovita controbilancia erodendone il valore reale e rendendo più facile ripagarlo in euro un po’ inflazionati.

Il caso del debito pubblico italiano è probabilmente quello più rilevante. Ogni anno il Tesoro emette oltre 450 miliardi di nuovi bond per finanziarsi, pagando in media un interesse vicino a quello di un Btp a cinque anni. Il rendimento di quel titolo è sceso, dal 2,8% di un anno fa all’1,9% di ieri sera. Nel frattempo però l’inflazione è scesa di più, dunque il costo di ogni euro di nuovo debito pubblico dell’Italia sale in termini reali anche quando lo spread fra Bund tedeschi e Btp scende.

Per ogni euro degli oltre duemila miliardi di vecchio debito pubblico l’onere da bassa inflazione poi è ancora più forte, perché i tassi d’interesse sui vecchi titoli sono più alti. In queste condizioni il debito pubblico non scenderà mai. Proiettando l’inflazione, la crescita, le cedole su Bot o Btp e il surplus di bilancio di oggi fra vent’anni, la situazione diverrebbe insostenibile: il debito pubblico sarebbe al 148% e in aumento. Invece con un’inflazione anche com’era un anno fa, il debito sarebbe di quasi 30 punti più basso e in calo.

E’ per questo che il crollo del carovita e l’apparente rinuncia della Bce a difendere il suo stesso obiettivo di stabilità dei prezzi appaiono sempre più in conflitto con un’altra regola europea: il Fiscal Compact. Rispettare quell’impegno a ridurre ogni anno il rapporto fra debito e Pil di più del 3% è quasi impossibile se nel frattempo l’Europa ignora la sua stessa regola d’inflazione.

Per farcela, l’Italia dovrebbe aumentare stabilmente il suo surplus primario di 15 miliardi, con nuovi tagli e tasse. Ce n’è abbastanza perché il tessuto sociale e la vita politica italiani non reggano allo sforzo. Ma non è affatto scritto che le cose andranno così. Giovedì c’è il consiglio dei governatori della Bce. La palla è (anche) nel campo di Draghi.
Wallstreetitalia


LE ELEZIONI EUROPEE? LE DECISIONI LE PRENDONO ALTRI

Le elezioni europee tra poco più di un mese potrebbero essere il punto di svolta per i movimenti euroscettici. Siamo sicuri? Giancarlo Dall'Aglio, trader esperto nel settore delle commodities, ci ricorda che in realtà le decisioni più importanti sono prese da altri, tutti non eletti.
La deflazione spaventa tutti meno la Bce. La situazione è davvero sotto controllo?
Gli ultimi dati sull’inflazione mostrano che la stessa è ormai sui minimi registrati ormai da diversi anni a questa parte. Sappiamo ormai bene che il ruolo della Bce,stando al mandato spesso contestato soprattutto in periodo di crisi economica, è quello del controllo dei prezzi. Contestazioni che arrivano proprio a causa della “limitatezza” di questo mandato che impedisce de facto la creazione di misure di supporto come il QE statunitense (che poi alla fine si è sviluppato in un’immissione di liquidità continuata fino al raggiungimento del target di disoccupazione del 6,5%), o quello inglese come quello giapponese dell’Abenomics. In particolare quest’ultimo, alla ricerca dell’inflazione, si è posto un target del 2% da raggiungere nel giro di due anni, anche se adesso pare ci sia bisogno di una revisione proprio perchè a 18 mesi dai primi provvedimenti, non solo il target non è stato raggiunto e le difficoltà per le riforme inizia a farsi sentire, ma l’iperstimolazione crea anche assuefazione nel mercato stesso il quale stenta poi a mantenere lo stesso ritmo di crescita o ripresa nel tempo. In Europa niente di tutto questo, con l’austerità che è stato il mantra dall’inizio della crisi. Austerità che ha portato diverse nazioni al collasso, con la benedizione della Commissione europea, il vero centro delle decisioni dell’Unione. Unico risultato ottenuto, invece, l’appiattimento verso il basso del livello di vita dei cittadini europei, soprattutto di quelli degli stati periferici, mentre per quelli degli stati centrali si sono registrati benefici notevoli. E non ultimo tra questi il beneficio di una moneta unica che ha portato a una fortissima discrasia tra la Germania e il resto delle nazioni “vittime” di un costante peggioramento dei parametri economici.
Tutti, addirittura a livello globale, hanno deciso di attuare misure di stimolo, perchè da noi non si fa niente?
Adesso siamo a un punto di svolta. Da un lato ci sono le elezioni europee a maggio su cui sta prendendo il sopravvento un mix tra il malcontento popolare e l’onda politica dell’antieuropeismo diffuso ovunque, con Marine Le Pen in Francia e Farage in Gran Bretagna, a testimonianza del fatto che è proprio il concetto di “Unione Europea” ancor più che di “Euro” ad essere indigesta alle masse. Anche in Italia il partito degli euroscettici, stando agli ultimi sondaggi, raccoglierebbe una quota del 50% anche se in questo caso il dato è da prendere con le dovute precauzioni.
Il tutto nonostante l’impegno da parte dei media “di regime” nel fare propaganda a favore dei vantaggi dell’euro e soprattutto, quasi fosse un ricatto, dei pericoli cui andremo incontro in caso di nostra uscita. Peccato, però, che nessuno di questi euroburocrati porti a supporto delle sue tesi un solo dato economico.
Berlino, sembra aprirsi a misure di sostegno. Paura o strategia?
I dati sull’inflazione sono risultati in forte diminuzione e da più parti si comincia a chiedere una serie di misure di “stimolo” all’economia per evitare, appunto, una stagnazione dei consumi e quindi una crescita inesistente anche sul fronte del Pil oltre che della domanda inesistente e la spirale pericolosa che si verrebbe a creare (ma i cui prodromi sono già in atto). Da qui la scelta per misure di sostegno che possono essere eurobond, QE all’europea quasi a voler imitare quanto fatto da Londra, Tokyo e Washington. Un pericolo evidentemente reale e concreto se persino il ministro dell’economia tedesco, notoriamente refrattario a qualsiasi tipo di intervento e paladino dell’austerità ad oltranza, abbia aperto uno spiraglio. La sensazione è che la paura arriva non tanto dalle conseguenze della deflazione, ma più che altro dalla spinta e soprattuto dalla diffusione del sentiment degli euroscettici, pericoloso per tutta l’euroburocrazia Berlinocentrica. A conferma di un piano economico presente già dal secondo dopoguerra che vede il resto delle nazioni come colonie della Germania, piano che in realtà non si è mai realizzato grazie alle periodiche svalutazioni competitive delle varie monete e all’assenza dei vari cambi fissi che hanno permesso alle diverse economie, in primis quella italiana di crescere a dismisura con il miracolo economico degli anni Sessanta.
Prevedibile un indebolimento dell'euro, finalmente?
A guardare i livelli dell’euro dollaro in realtà il mercato non sembra scontare una decisione sui tassi ormai ai minimi e ritoccarli ulteriormente al ribasso è una cosa che non sortirebbe effetto, mentre un’immissione di liquidità non rientra nei compiti della stessa. A questo punto si potrebbe assistere per il secondo mese consecutivo a una conference call di Draghi in cui si dichiara il “nulla di fatto” promettendo semplicemente di continuare a intervenire con un arsenale (teorico) pronto ad essere usato. In effetti l’alibi ci sarebbe: il mandato della banca centrale europea non contempla le quotazioni della moneta unica ma solo il controllo sui prezzi. In realtà un euro così forte al momento potrebbe ancora essere retto dall’economia della Germania, ma attenzione, perchè anche lei è esportatrice netta e il pericolo è che altri paesi europei si indeboliscano a tal punto che la Germania stessa sarà costretta a piegare le sue aspettative e rischierebbe la crisi.
Elezioni europee: euroscettici alla riscossa
Anche in questo caso c’è un pericolo: alle elezioni europee si nomineranno i membri del Parlamento europeo, il quale, in Europa come in Italia, conta solo in maniera relativa e solo per le questioni minoritarie. Il vero fulcro delle decisioni è la Commissione europea (non eletta): è lei infatti che gestisce e decide su cose come il Fiscal Compact, i programmi di aiuti (come quelli alla Grecia “beneficiaria” di oltre 150 miliardi di aiuti pagati dall’austerità del popolo greco, il quale alla fine ne ha ricevuti meno di un decimo visto che il resto è servito a pagare i titoli di debito di Atene in mano alle potenze europee), l’Unione Bancaria. Alla fine tutta l’Unione Europea che tanto si vanta di rappresentare e unire i popoli, non è altro che la rappresentazione di un potere senza alcuna democrazia, dove chi governa sono sempre le stesse persone, a difesa dei poteri forti e delle banche. Paradossalmente perciò, le elezioni che dovrebbero abbattere questo potere, in realtà rischiano di avere un impatto minimo se non addirittura rafforzativo del potere stesso.
Rossana Prezioso per Trend-online


WARNING DI EQUITA SU CRESCITA E RICAVI DI CARIGE

Banca Carige resta sotto i riflettori di Piazza Affari in scia alle anticipazioni di MF-Milano Finanza secondo cui in queste settimane la Fondazione Carige metterà a punto il piano di ristrutturazione del debito. L'ente dovrà inoltre trovare le risorse per partecipare all'aumento di capitale dell'istituto di credito, di cui detiene il 45,1%, da 800 milioni di euro previsto entro l'estate.

Potrebbe quindi optare, riporta Mf-Milano Finanza, per la vendita di una quota consistente del 20-25% del capitale della banca. Se così sarà, l'incasso sarà notevole (tra 200 e 300 milioni di euro) e permetterà all'ente di far fronte ai propri impegni, anche perché l'obiettivo della Fondazione resta quello di aderire per quanto possibile alla ricapitalizzazione di Banca Carige in modo da restare nel capitale dell'istituto con una partecipazione a doppia cifra, tra il 15% e il 20%.

In borsa il titolo, reduce da un +46% da inizio anno, questa mattina è salito fino a un massimo a quota 0,704 euro, livello che non vedeva da febbraio 2013. Ora sta ritracciando dello 0,75% a 0,665 euro. A 1 volte il prezzo/tangible equity e con un Rote 2018 del 6,5%, gli analisti di Equita non vedono margini di upside sui fondamentali, anche se oggi hanno alzato il target price da 0,35 a 0,43 euro, e quindi ribadiscono il rating hold.

"Rispetto allo scenario del management riteniamo che sia più lenta la crescita dei ricavi della banca, per i seguenti motivi: la necessità di ridurre il gap a livello di funding limiterà il recupero del margine di interesse, inoltre la crescente diffusione del web banking non concederà grandi spazi di repricing, anzi probabilmente metterà sotto pressione il pricing degli sportelli tradizionali", avvertono gli analisti di Equita.

Senza contare che la rete del gruppo al di fuori della Liguria si troverà spesso a competere con banche meglio posizionate e questo imporrà sempre più una scelta tra volumi e margini. Così nel 2016 gli analisti di Equita stimano un utile netto di 83 milioni di euro per Banca Carige, al di sotto del target del piano (123 milioni) in quanto vedono ricavi pari a 886 milioni di euro contro i 951 milioni del budget.

Per quanto riguarda la valutazione di Banca Carige, gli esperti della sim pensano che gli investitori siano disposti a guardare alla redditività nel 2018 sia a fronte dei progressi sul capitale sia di un possibile coinvolgimento di Carige nel processo di consolidamento del settore. Equita ha quindi inserito nel suo modello le stime 2018, alzando il target price appunto a 0,43 euro, che corrisponde sui numeri 2016 a un multiplo prezzo/utile di 18 volte e a un PTE di 0,7 volte a fronte di un Rote del 4%.
Milano Finanza


COMMENTO IN CHIUSURA

Piazza Affari ha tirato il freno dopo i rialzi delle ultime sedute. Nei primi scambi l´indice Ftse Mib era riuscito a portarsi sopra quota 22.000 punti, soglia che non veniva violata da inizio maggio del 2011, per poi ripiegare in territorio negativo ed arrivare a chiudere con un ribasso dell´1,02% a 21.692 punti. Domani l´attesa è tutta rivolta alla riunione della Bce, soprattutto dopo l´ennesimo calo dell´inflazione nell´Eurozona. Christine Lagarde, numero uno del Fmi, ha dichiarato che nella zona euro sta emergendo il rischio di una bassa inflazione che potrebbe avere effetti negativi su crescita e occupazione. Lagarde ha quindi ribadito la necessita di un allentamento monetario. Sul fronte macro ha deluso lievemente le attese il sondaggio ADP di marzo che ha evidenziato negli Stati Uniti la creazione di 191 mila nuovi posti di lavoro nel settore privato, comunque in rialzo rispetto ai 178 mila del mese precedente. Dopo il rally delle ultime sedute le prese di beneficio hanno prevalso sui titoli del comparto bancario: Banco Popolare ha ceduto l´1,73% a 15,25 euro, Montepaschi l´1,38% a 0,278 euro, Popolare di Milano il 2,47% a 0,71 euro, Intesa SanPaolo il 2,36% a 2,472 euro, Ubi Banca l´1,94% a 7,04 euro, Unicredit il 2,15% a 6,585 euro. In rosso la galassia del Lingotto: Fiat ha perso il 2,45% a 8,55 euro, mentre CNH Industrial è arretrata dello 0,95% a 8,305 euro. Iveco ha fatto sapere di aver sospeso con effetto immediato le proprie attività produttive in Venezuela in scia "alla crisi valutaria che continua a creare difficoltà all´industria nell´importazione dei componenti e delle materie prime". Attualmente Iveco Venezuela ha 400 dipendenti e costruisce camion e telai per autobus. Nel 2013 sono state circa 1.700 le unità prodotte complessivamente. Prysmian (+1,73% a 18,79 euro) sotto i riflettori dopo che la Commissione Ue ha deciso che tra il 18 febbraio 1999 e il 28 gennaio 2009 i maggiori produttori mondiali di cavi, tra cui Prysmian Cavi e Sistemi, hanno posto in essere condotte restrittive della concorrenza nel mercato europeo rispettivamente dei cavi elettrici sottomarini e di quelli terrestri ad alta tensione. La Commissione Ue ha ritenuto Prysmian Cavi e Sistemi, unitamente a Pirelli, responsabili dell´infrazione contestata condannandole per al pagamento della sanzione pecuniaria di 67,3 milioni di euro, e Prysmian insieme a Goldman Sachs al pagamento di 37,3 milioni. Contro questa decisione Prysmian presenterà ricorso al Tribunale dell´Unione Europea. Per questo Prysmian aveva accantonato 220 milioni di euro e per questo il titolo ha chiuso in rialzo visto che la multa totale è inferiore alla cifra messa da parte. Brillante Moncler (+2,25% a 12,68 euro) in scia alla promozione arrivata da Ubs che ha alzato il giudizio sul titolo del gruppo dei piumini a neutral dal precedente sell dopo la recente underpeformance dell´azione rispetto al mercato. "Le azioni Moncler sono scese del 15% dopo la diffusione dei conti 2013 - ha rimarcato la casa d´affari elvetica - un calo eccessivo se si considera la crescita organica del 25% nel 2013 e le attese di crescita ancora sostenute anche per quest´anno". Debole Finmeccanica (-1,44% a 7,145 euro) con Ubs che ha confermato il giudizio neutral scrivendo però che la ristrutturazione del colosso pubblico "è sufficientemente credibile da poter valutare Finmeccanica a fianco dei suoi competitor europei della Difesa".
Finanzaonline