Piazza Affari ha chiuso in rialzo una seduta frenata dalle
parole di ieri sera di Janet Yellen, che ha aperto alla possibilità di mettere
fine alla politica monetaria ultraespansiva della Fed con un rialzo dei tassi
primi del previsto. La Fed, come da attese, ha inoltre ridotto di altri 10
miliardi di dollari il suo piano mensile di acquisto titoli che ora si attesta
a 55 miliardi. Sempre attuali le preoccupazioni di una frenata della crescita
cinese. Goldman Sachs ha abbassato le stime sul Pil di Pechino relative al 2014
(+7,3% da +7,6%) e al 2015 (+7,6% da +7,8%). La spinta al listino milanese è
arrivata dall’andamento di Wall Street che ha sfruttato una serie di dati macro
migliori delle attese, in particolare l’indicatore principale di febbraio
salito dello 0,5% contro previsioni ferme a 0,3%. E così a Piazza Affari
l’indice Ftse Mib ha guadagnato lo 0,56% a 21.094 punti.
Nel comparto bancario da segnalare le vendite che hanno colpito la Popolare di Milano (-1,83% a 0,67 euro) dopo l’annuncio giunto ieri a mercati chiusi da parte di Standard & Poor’s. L’agenzia di rating statunitense ha posto la valutazione sull’istituto di Piazza Meda (BB- per il lungo termine, B per il breve) in “creditwatch” con implicazioni negative. In negativo anche il Monte paschi che ha perso l’1,16% a 0,238 euro. Gli acquisti hanno invece premiato Banco Popolare (+0,17% a 17,40 euro), Popolare dell’Emilia Romagna (+2,38% a 8,595 euro), Intesa SanPaolo (+1,23% a 2,29 euro), Mediobanca (+2,69% a 7,995 euro) e Unicredit (+1,54% a 6,58 euro). Ben comprata Finmeccanica (+2,83% a 7,25 euro) all’indomani dei conti del 2013 che hanno evidenziato un utile netto di 74 milioni di euro contro la maxi perdita di 792 milioni registrata nel precedente esercizio. Tra i peggiori di seduta, invece, le performance di A2A e Mediaset: la multiutility lombarda ha perso il 2,19% a 0,979 euro, mentre il gruppo di Cologno Monzese ha lasciato sul parterre l’1,48% a 3,99 euro. Debole Telecom Italia (-0,84% a 0,823 euro) all’indomani dell’apertura ufficiale della sfida Giuseppe Recchi-Vito Gamberale per la presidenza del colosso tlc.
Nel comparto bancario da segnalare le vendite che hanno colpito la Popolare di Milano (-1,83% a 0,67 euro) dopo l’annuncio giunto ieri a mercati chiusi da parte di Standard & Poor’s. L’agenzia di rating statunitense ha posto la valutazione sull’istituto di Piazza Meda (BB- per il lungo termine, B per il breve) in “creditwatch” con implicazioni negative. In negativo anche il Monte paschi che ha perso l’1,16% a 0,238 euro. Gli acquisti hanno invece premiato Banco Popolare (+0,17% a 17,40 euro), Popolare dell’Emilia Romagna (+2,38% a 8,595 euro), Intesa SanPaolo (+1,23% a 2,29 euro), Mediobanca (+2,69% a 7,995 euro) e Unicredit (+1,54% a 6,58 euro). Ben comprata Finmeccanica (+2,83% a 7,25 euro) all’indomani dei conti del 2013 che hanno evidenziato un utile netto di 74 milioni di euro contro la maxi perdita di 792 milioni registrata nel precedente esercizio. Tra i peggiori di seduta, invece, le performance di A2A e Mediaset: la multiutility lombarda ha perso il 2,19% a 0,979 euro, mentre il gruppo di Cologno Monzese ha lasciato sul parterre l’1,48% a 3,99 euro. Debole Telecom Italia (-0,84% a 0,823 euro) all’indomani dell’apertura ufficiale della sfida Giuseppe Recchi-Vito Gamberale per la presidenza del colosso tlc.
Finanza.com
ALLARME CRESCITA PR
LA CINA: ANCHE GOLDMAN TAGLIA LE STIME
Cresce la
preoccupazione sui mercati circa le prospettive di crescita della Cina.
L'obiettivo di crescita minima indicato da Pechino per il 2014, pari a +7,5%,
appare a forte rischio e l'ultima tornata di dati relativi al mese di febbraio
hanno alimentato i timori con soprattutto i deludenti dati sull'export che
hanno causato un deficit della bilancia commerciale.
Oggi
l'indice Hang Seng China Enterprises ha ceduto l'1,7% entrando nel
cosiddetto "bear market", ossia segna un calo di oltre il
20% rispetto ai livelli di inizio dicembre. Sempre oggi nuovi minimi a 12 mesi
per lo yuan.
Goldman Sachs vede Pil Cina crescere
meno del target del 7,5%
Oggi Goldman Sachs ha abbassato le proprie stime sulla Cina relative al primo trimestre 2014, ma anche quelle per l'intero 2014 e il 2015. La casa d'affari statunitense vede ora il Pil cinese espandersi "solo" del 7,3% quest'anno rispetto al 7,6% indicato in precedenza. Le previsioni per il 2015 sono di un +7,6% dal 7,8% delle precedenti stime.
Oggi Goldman Sachs ha abbassato le proprie stime sulla Cina relative al primo trimestre 2014, ma anche quelle per l'intero 2014 e il 2015. La casa d'affari statunitense vede ora il Pil cinese espandersi "solo" del 7,3% quest'anno rispetto al 7,6% indicato in precedenza. Le previsioni per il 2015 sono di un +7,6% dal 7,8% delle precedenti stime.
Nei giorni
scorsi anche Pimco aveva rivisto al ribasso le stime sulla Cina vedendo
una crescita tra il 6,5% e il 7,5% quest'anno.
Pesa frenata consumi ed export
La decisione è frutto dei deludenti riscontri arrivati nei primi due mesi dell'anno dai dati su commercio e consumi. "Gli sforzi per la lotta contro la corruzione hanno intaccato i consumi", rimarca la nota di Goldman Sachs che comunque si attende una ripresa nei prossimi mesi in virtù della diminuzione sequenziale dell'impatto delle misure anti-corruzione e dei controlli dell'inquinamento, oltre a un miglioramento delle prospettive del commercio e all'allentamento delle condizioni finanziarie (deprezzamento della moneta e dei tassi di interesse più bassi). I dati di marzo, rimarca Goldman, saranno importanti per vedere i primi segni di recupero.
L'inflazione non dovrebbe rappresentare un problema con le nuove stime che sono di un +2,6% nel 2014 (3% la stima precedente): confermata invece la previsione di inflazione al 3% nel 2015.
La decisione è frutto dei deludenti riscontri arrivati nei primi due mesi dell'anno dai dati su commercio e consumi. "Gli sforzi per la lotta contro la corruzione hanno intaccato i consumi", rimarca la nota di Goldman Sachs che comunque si attende una ripresa nei prossimi mesi in virtù della diminuzione sequenziale dell'impatto delle misure anti-corruzione e dei controlli dell'inquinamento, oltre a un miglioramento delle prospettive del commercio e all'allentamento delle condizioni finanziarie (deprezzamento della moneta e dei tassi di interesse più bassi). I dati di marzo, rimarca Goldman, saranno importanti per vedere i primi segni di recupero.
L'inflazione non dovrebbe rappresentare un problema con le nuove stime che sono di un +2,6% nel 2014 (3% la stima precedente): confermata invece la previsione di inflazione al 3% nel 2015.
Pechino prepara contromosse per
stabilizzare crescita
L'obiettivo di crescita del Governo per il 2014 appare quindi più difficile da raggiungere anche se settimana scorsa il premier cinese Li Keqiang si è mostrato fiducioso, confermando che il tasso di crescita del Paese sarà di almeno il 7,5% anche quest'anno.
L'obiettivo di crescita del Governo per il 2014 appare quindi più difficile da raggiungere anche se settimana scorsa il premier cinese Li Keqiang si è mostrato fiducioso, confermando che il tasso di crescita del Paese sarà di almeno il 7,5% anche quest'anno.
La Cina prepara le contromosse e ha
annunciato l'intenzione di "apportare misure già determinate per espandere
la domanda interna e stabilizzare la crescita", rimarca una nota del
Consiglio di Stato cinese. In programma c'è l'accelerazione dei lavori
preliminari e la costruzione di progetti di investimento chiave.
Finanza.com
FINMECCANICA
FESTEGGIA IL RITORNO DELL’UTILE NEL 2013
Brilla Finmeccanica a Piazza Affari insieme ad Ansaldo
STS all'indomani dei conti 2013 che hanno certificato il ritorno
all’utile dell'azienda di Piazza Monte Grappa. I titoli sul Ftse Mib segnano
rispettivamente un progresso del 2,69% a 7,24 euro e dell'1,51% a 8,35 euro.
Il contesto è duro ma Finmeccanica ha raggiunto un reale processo di
ristrutturazione. Così Alessandro Pansa, amministratore
delegato del gruppo della Difesa durante la conference call sui
risultati 2013 con gli analisti. Quello che il gruppo ha fatto negli ultimi
nove mesi ha portato significativi benefici nei settori Difesa, Aeronautica ed
Elicotteri, ha fatto notare Pansa che però avverte: "C'è un
problema, un nome che ci sta dando problemi e si chiama AnsaldoBreda".
Il top manager è certo di una cosa: il core business di Finmeccanica non può
essere messo a rischio dalle perdite della controllata con sede a Pistoia.
"Non sto dicendo che stiamo facendo qualcosa di socialmente inaccettabile,
ma non perderemo alcuna opportunità per preservare Finmeccanica dal costo delle
perdite di AnsaldoBreda", ha spiegato Pansa. Pessimista anche il direttore
finanziario del gruppo, Gian Piero Cutillo, che prevede un impatto finanziario
negativo della partecipata anche nel 2014.Dopo le significative perdite dell’ultimo biennio, l’esercizio 2013 di Finmeccanica si è chiuso con un risultato netto positivo per 74 milioni di euro (-792 milioni nel 2012). Segno meno per l'Ebita, passato da 1.006 a 949 milioni "a causa del peggiore andamento di AnsaldoBreda e al persistere di difficoltà in alcune aree di Selex ES”. In riduzione anche il fatturato, sceso da 16,5 a 16 miliardi di euro "per effetto della contrazione dei budget della Difesa sia in Europa che negli Usa”. Bene invece gli ordini, saliti da 15,9 a 17,6 miliardi di euro che hanno portato il portafoglio a 42,7 miliardi (da 44,9). L’indebitamento di gruppo si è attestato a 3.316 milioni di euro, dai 3.382 milioni di euro di fine 2012.
Per quanto riguarda l'outlook per il 2014, la società si attende ricavi tra i 13 e i 13,5 miliardi di euro, un Ebita tra i 930 e i 980 milioni e un operating cash flow (Focf) visto fra negativo per 100 milioni e lo zero (da -220 milioni). Le previsioni attinenti solamente al core business del settore aerospazio e difesa vedono nel 2014 ricavi a 11-11,5 miliardi, un Ebita a 970-1.030 milioni, un Focf a 250-300 milioni.
Nel frattempo in una nota il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e il ministero dello Sviluppo economico (Mise) hanno fatto sapere di condividere il piano strategico approvato dal Cda di Finmeccanica che "prevede la concentrazione del gruppo nel settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza il quale, per sua natura, richiede significativi investimenti in Ricerca & Sviluppo, con ricadute tecnologiche, produttive ed occupazionali di elevato profilo per il Paese e per il suo ruolo a livello europeo ed internazionale".
"In questo quadro, il deconsolidamento delle attività nei trasporti deciso da Finmeccanica rappresenta un elemento essenziale per il successo di tale piano e inoltre costituisce una opportunità per aprire prospettive di sviluppo del comparto trasporti che facciano perno sul mantenimento sul territorio nazionale di centri di eccellenza e di importanti competenze" recita il comunicato. "Pertanto, i ministri seguono con grande attenzione la conclusione da parte di Finmeccanica di un accordo di partnership con un operatore internazionale che assicuri radicamento nel territorio e valorizzazione globale delle aziende del settore trasporti". Le decisioni del Cda di Finmeccanica e le valutazioni del Governo sono state comunicate ieri alle Organizzazioni Sindacali nel corso di un incontro a cui ha preso parte il vice ministro allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti.
Finanza.com
BORSE DEBOLI DOPO LE PAROLE DELLA YELLEN
Partenza in rosso per le principali
Borse europee, compresa Piazza Affari, in scia alla chiusura negativa di Wall Street e dei
listini asiatici, appesantiti dalle parole del presidente della Federal
Reserve, Janet Yellen, che ha aperto alla possibilità di mettere fine alla
politica monetaria ultra-espansiva, con un rialzo dei tassi di interesse, prima
del previsto. Questa mattina le Borse europee cedono circa mezzo punto
percentuale. In territorio negativo anche l'indcie Ftse Mib di Piazza Affari,
che perde lo 0,17% viaggiando intorno ai 20.940 punti.
Ieri
la Fed ha ridotto di ulteriori 10 miliardi di dollari a 55 miliardi il piano di
stimolo monetario, proseguendo il tapering come da attese. A spiazzare
il mercato è stato più che altro l'intervento della Yellen, il primo in
qualità di presidente della banca centrale americana. Nella versione
aggiornata, la "forward guidance” della Fed ora prevede che per
l'innalzamento del costo del denaro, fermo a zero dal 2008, sarà preso in
considerazione un "ampio spettro” di fattori e non più solo il tasso di
disoccupazione che, una volta sceso al 6,5%, avrebbe dato il via al processo di
normalizzazione della politica monetaria.
"In questo modo - ha spiegato Rob
Carnell, analista di Ing - la Fed ha praticamente reso impossibile per
qualsiasi analista dire con qualsiasi certezza quando i tassi dovrebbero
salire, scendere o addirittura rimanere dove sono". Come se, dopo tutti
questi mesi di "forward guidance" incentrata sulla trasparenza, la
Fed abbia preferito ora un po' più di vaghezza per perseguire la propria
politica monetaria più liberamente, senza imbattersi nelle critiche degli
osservatori del mercato (come era successo nei mesi scorsi).
Per quanto riguarda la possibilità
di un rialzo dei tassi di interesse negli Usa prima del previsto, l'esperto di Ing chiarisce:
"rimaniamo convinti che il tapering si esaurirà entro ottobre 2014 e
dunque il primo rialzo del costo del denaro avvenga nel terzo trimestre del
2015. Infatti, consideriamo il commento della Yellen durante la conferenza
stampa, secondo cui "un considerevole periodo" tra la fine del
quantitative easing e il primo aumento dei tassi potrebbe essere dell'ordine di
"sei mesi" o giù di lì (che implica probabilmente un rialzo dei tassi
già a partire da aprile), sia stato più una formulazione disinvolta, che non
una comunicazione intenzionale dei tempi".
Finanza.comUSA: FED TAGLIA PIANO ACQUISTO ASSET A 55 MILIARDI MENSILI
Come da attese, la banca centrale statunitense ha ridotto il piano di acquisto asset di 10 miliardi a 55 miliardi di dollari complessivi. In linea con le stime anche la modifica della "forward guidance”, che nella versione aggiornata prevede che per l'innalzamento del costo del denaro, fermo a zero dal 2008, sarà preso in considerazione un "ampio spettro” di fattori. In precedenza l'unico riferimento era rappresentato dal tasso di disoccupazione che, una volta sceso al 6,5%, avrebbe dato il la al processo di normalizzazione della politica monetaria.
La revisione era nell'aria e negli ultimi mesi era stata preannunciata da Bernanke prima e da Janet Yellen poi. La nuova guidance si rende necessaria alla luce del calo del tasso di partecipazione al mercato del lavoro che trascinando "artificialmente” al ribasso il tasso di disoccupazione (6,7% a febbraio) ha fatto perdere autorevolezza a questo indicatore.
Nel comunicato emesso dal Fomc (Federal Open Market Committee) al termine del primo meeting targato Janet Yellen, viene rimarcato che i tassi a breve potrebbero essere mantenuti sotto un livello considerato "normale” anche se l'occupazione e l'inflazione dovessero raggiungere i target. Nel complesso, non c'è fretta di alzare il costo del denaro e 13 dei 16 componenti del Fomc stimano che il primo incremento non si avrà prima del 2015. La Fed ha inoltre ridotto le stime di crescita 2014 dal 3,2 di dicembre al 3 per cento mentre il tasso di disoccupazione è visto in calo al 6,1-6,3% entro la fine dell'anno, contro il 6,3-6,6% stimato in precedenza.
La decisione sta favorendo il dollaro, il dollar index si è riportato in quota 80 punti toccando un massimo intraday a 79,92 (dollaroyen a 102,3, eurodollaro a 1,3854), e spingendo al rialzo il rendimento del decennale, attualmente al 2,75%. Rosso per l'oro, che alla terza seduta con il segno meno passa di mano a 1.332 dollari. Scende anche Wall Street: a un'ora e mezza dalla chiusura il Dow perde lo 0,15% mentre S&P e Nasdaq lasciano sul parterre lo 0,1%.
Finanza.com
TAGLI IRPEF: MA I MILLE EURO ALL’ANNO SARANNO PER MOLTI UN MIRAGGIO
Dagli annunci roboanti alla cruda realtà. I 10 miliardi di euro in più nelle tasche degli italiani promessi dalla “Svolta buona” targata Renzi saranno spalmati su una platea di circa 10
milioni di italiani che guadagnano meno di 25 mila euro lordi l’anno. Dal prossimo mese di maggio le buste paga saranno più pesanti per i lavoratori dipendenti che guadagnano tra gli 8mila e i 25mila euro annui. Ma di quanto? I mille euro indicati da Renzi sono puramente una media indicativa poiché le detrazioni Irpef varieranno a seconda di quanto effettivamente uno guadagna con risparmi più consistenti per le fasce di reddito inferiori e gradualmente in calo avvicinandosi alla soglia dei 25mila euro.
A chi andranno le maggiori detrazioni Irpef
In linea puramente teorica l’aumento di mille euro l’anno del reddito netto di tutti lavoratori dipendenti sotto i 25mila euro richiederebbe l’incremento dell’attuale Irpef di un pari importo. Ma non tutti i lavoratori dipendenti potranno beneficiare pienamente dell’aumento della detrazione perché ad oggi pagano un’Irpef netta inferiore. C’è poi il caso dei cosiddetti incapienti che ricadono nella “no tax area” e non avranno quindi alcun beneficio poiché già non pagano l’Irpef. In attesa dei dettagli del piano di aumento delle detrazioni fiscali, le prime stime vedono emergere delle criticità per le fasce di reddito più deboli.
Solo 18 euro in più al mese per chi guadagna 9mila euro annui
Benefici decisamente contenuti per chi presenta un livello di reddito dai 9mila ai 12mila euro lordi all’anno poiché l’incremento della detrazione Irpef risulta superiore all’imposta attualmente dovuta. Considerando un lavoratore dal reddito da 9mila euro, attualmente paga un’Irpef netta di 235 euro (imposta lorda di 2.070 euro e detrazioni per 1.835 euro), l’aumento delle detrazioni permetterà solo di annullare l’imposta dovuta, ossia solo 18 euro mensili in più (considerando anche la tredicesima).
Vantaggi maggiori per le fasce intermedie
I vantaggi maggiori in busta paga riguarderanno i lavoratori dipendenti a metà strada, ossia chi guadagna 15 mila euro annui che vedrà, secondo quanto stimato dalla Cgia, detrazioni per ben 1.177 euro. La detrazione scende in area 1.023 per chi guadagna 18mila euro per scendere a 818 euro per chi guadagna 22mila euro lordi e infine “solo” 665 euro in più in un anno, poco più di 50 euro al mese per chi raggiunge quota 25 mila euro lordi.
Calcoli che non prendono in considerazione gli aggravi in busta paga provocati quest’anno dall’aumento delle addizionali Irpef comunali e regionali che vanno ad assottigliare non poco il beneficio rispetto al netto in busta paga di un anno fa.
Niente agevolazioni per gli incapienti
Come rimarcato da Simone Pellegrino e Alberto Zanardi di Lavoce.info, perché tutta la platea dei lavoratori dipendenti sotto i 25mila euro benefici dei 1.000 euro in più l’anno dovrebbe essere previsto un meccanismo di imposta negativa sul reddito che riconosca agli incapienti un trasferimento monetario effettivo per l’intero ammontare di detrazione non sfruttata. Per garantire un incremento di reddito netto di mille euro a tutti i lavoratori dipendenti sotto i 25mila euro, l’imposta netta dovrebbe essere negativa fino a 11.780 euro di reddito lordo. Per questi contribuenti sarebbe dunque necessario riconoscere un aumento in busta paga attraverso un trasferimento pubblico. “Una revisione dell’Irpef di questo genere avrebbe il vantaggio di dare risposta al problema molte volte sollevato dell’incapienza – sottolineano Simone Pellegrino e Alberto Zanardi – consentendo anche ai contribuenti dei livelli di reddito più bassi di partecipare alla riduzione di prelievo annunciata dal governo, con ovvi benefici sul piano dell’equità. Ma avrebbe un difetto non irrilevante: costa troppo. Utilizzando un modello di microsimulazione fiscale basato sui dati dell’Indagine Banca d’Italia sui redditi delle famiglie italiane, il costo complessivo della detrazione con recupero dell’incapienza è stimabile in circa 14 miliardi di euro, 4 miliardi in più rispetto alla previsione di mancato gettito (e quindi alla necessità di copertura finanziaria necessaria) formulata dal Governo.
Finanza.com
WALL STREET: LA YELLEN FRENA GLI ENTUSIASMI
Tutti attendevano la Fed ed in effetti un cerco effetto c’è stato, forse non quello che si auspicavano gli investitori, ma quando il mercato si arroventa qualche secchiata di acqua fredda, magari non risolve, però aiuta.
Andiamo con ordine, prima dell’inizio delle contrattazioni era stato reso noto un dato a mio avviso estremamente importante, il deficit delle partite correnti, nel l’ultimo trimestre dello scorso anno, è sceso a 81,1 miliardi di dollari, il valore più basso dal terzo trimestre del 1999 (un secolo fa).
Il dato non aveva avuto alcun effetto sul mercato, a mio avviso perché tutti gli occhi erano puntati sulla Fed, ma doveva essere inteso come un indicatore importante, il dollaro non può continuare a rimanere così sottovalutato.
Ma doveva parlare la Yellen per far muovere il mercato, anche quello valutario, non solo quello azionario.
I tassi ovviamente non sono stati mossi, vediamo, però, cosa ha detto la nuova presidentessa della Fed.
Ha confermato la riduzione di 10 miliardi, quindi siamo arrivati a 55 degli originari 85 miliardi, di acquisti mensili di bond. Se la definitiva chiusura del tapering si stima possa avvenire in autunno il primo successivo rialzo dei tassi è plausibile attenderlo per la primavera del 2015, a larghi tratti questo è quanto detto dalla Yellen.
C’è stato anche un cambiamento di “forward guidance”, ricorderete tutti quando Bernanke annunciò che l’obiettivo era il tasso di disoccupazione al 6,5%, ebbene ora è un mix di obiettivi economici.
Detto questo, però, arrivava la doccia fredda, la revisione al ribasso delle stime di crescita dell’economia Usa per il prossimo triennio.
Risultato? E’ scesa la Borsa, ma anche il cambio Eur/Usd ha perso una figura, da 1,392 a 1,382.
Occorre però sottolineare che, ad esempio, il Dow Jones all’annuncio della revisione al ribasso delle stime di crescita aveva perso 160 punti di colpo, quindi l’1%, ma nell’ultima ora di contrattazione ne ha recuperati la metà.
Naturalmente non ci resta che attendere le prossime sedute per capire che direzione prenderà il mercato.
Dow Jones (-0,70%) quattro rialzi fra cui spicca quello di Unitedhealth (+2,51%) il settore delle assicurazioni sanitarie è stato oggi il migliore visto che i dati della cosiddetta Obamacare sono più contenuti rispetto alle attese, in guadagno anche Intel (+0,81%) ed i due bancari JP Morgan (+0,41%) e Goldman Sachs (+0,05%).
In ribasso Walt Disney (-1,79%), Boeing (-1,45%) e General Electric (-1,44%).
S&P500 (-0,61%) terza seduta rialzista di fila per Hewlett Packard (+3,47%), confermano poi la buona giornata dei titoli del comparto bancario Bank of New York Mellon (+2,09%) e Citigroup (+1,66%).
In calo American Electric Power (-2,43%), Simon Property (-2,34%) ed Occidental Petroleum (-2,18%).
Nasdaq (-0,59%) continua la sua galoppata, per quanto riguarda l’anno in corso F5 Networks (+2,42%), a seguire Starbucks (+1,76%), quindi Invidia (+1,75%).
Torna a scendere Cognizant Tech (-2,90%), prese di profitto per Alexion Pharma (-2,77%) e Autodesk (-2,63%).
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro
FINMECCANICA, PANSA E L’OSSESSIONE CHE SI CHIAMA BREDA
“Ogni volta che l'Ad di Finmeccanica
afferma che Ansaldo Breda e' un problema per il gruppo compie un doppio
danno: intanto, fa crollare il suo prezzo di vendita rispetto a potenziali
acquirenti; poi, crea un effetto di trascinamento anche per Ansaldo Sts,
destinata anch'essa, secondo i discutibili disegni del gruppo dirigente di
piazza Monte Grappa, ad andare sul mercato”. Queste le parole del segretario
nazionale della Uilm, Giovanni Contento, che torna a criticare
l'intenzione di Finmeccanica di cedere le due aziende e parla di una vera
"ossessione" per Alessandro Pansa. Oggi, infatti,
nell'illustrare gli obiettivi 2014 di Finmeccanica, l'ad e il cfo, Gian Piero
Cutillo, hanno avvertito che i numeri continueranno a subire i risultati
negativi di Ansaldo Breda, società che il gruppo vuole deconsolidare con
l'approvazione del Tesoro e del ministero dello Sviluppo economico. Quanto ai
numeri, nel 2014 il gruppo Finmeccica vede ricavi compresi fra 13 e 13,5
miliardi in calo quindi rispetto ai 13,7 miliardi del 2013, un ebita fra 930
e 980 milioni, in crescita dai precedenti 878 milioni, eun free operating
cash flow fra negativo per 100 milioni e lo zero (da -220 milioni).
Intanto,
Finmeccanica ha avviato una fase di approfondimento con un numero ristretto
di potenziali partner per la divisione trasporti. “Riteniamo siano GE, Thales
e forse Hitachi”, spiegano gli analisti di Equita sim. In ogni
caso, sul deconsolidamento dei trasporti da Finmeccanica, che sarà portato
avanti con la collaborazione delle istituzioni e dei sindacati, è in corso
una "discussione attiva", ha detto Pansa, che poi ha assicurato che
invece Ansaldo Sts sarà trattata nel miglior interesse della società, dei
suoi azionisti e degli azionisti di Finmeccanica.
E sul
deconsolidamento, Contento torna a rivolgersi all'ad del gruppo dicendo:
“Pansa sia meno esterofilo e si rivolga in casa propria. Se proprio vuole
soddisfare l'esigenza di vendita delle due Ansaldo chieda a Fincantieri se e'
disponibile ad acquistarle. La societa' cantieristica è nelle condizioni di
poter diventare una vera e propria piattaforma trasversale per le attivita'
civili del settore civile e militare di Finmeccanica e della stessa
Fincantieri".
|
PIAZZA AFFARI. TITOLI NEL MIRINO
Partenza
negativa per Piazza Affari, dove l'attenzione è concentrata su Finmeccanica,
Snam, Telecom, Mps e Bpm. Ecco, secondo la rassegna reuters, i principali
possibili movimenti attesi.
Finmeccanica. Titolo sotto i riflettori dopo che ieri il Tesoro e il ministero dello
Sviluppo economico hanno detto che condividono il Piano strategico approvato
dal cda, che prevede il deconsolidamento di Ansaldo Breda. Intanto, sempre
ieri, a mercati chiusi, la società ha presentato il bilancio 2013, che si è
chiuso con un risultato netto positivo per 74 milioni di euro dopo le
significative perdite dell'ultimo biennio.
Mps. Titolo sugli scudi. In un'intervista a Reuters la presidente della
Fondazione Mps, Antonella Mansi, ha detto di non sapere chi ha comprato la
quota del 12% della banca venduta martedì con un collocamento lampo da Morgan
Stanley, ma probabilmente c'è stato più di un compratore. La Fondazione, ha
aggiunto Mansi, non ha abbandonato l'idea di trovare un partner strategico a
cui cedere parte della sua quota e con cui, se trovato prima dell'aumento,
potrebbe esserci anche un patto di sindacato per governare insime il rilancio
della banca.
Intesa Sanpaolo. Il titolo potrebbe ancora reagire alle parole del Ceo Carlo Messina che ha
detto che la banca, che presenterà i conti e il piano il prossimo 28 marzo, non
ha bisogno di fare pulizie di bilancio. Intanto, la controllata Banca Fideuram
ha chiuso il 2013 con un utile netto consolidato di 313,1 milioni in crescita
del 52,2%, attestandosi sui massimi storici.
Unicredit. Il titolo potrebbe muoversi in scia alle parole del vicepresidente
Candido Fois che ieri ha detto che le recenti ipotesi stampa sulla possibile
quotazione in borsa di Pioneer Investments non ripondono al vero.
Bpm. Il titolo potrebbe risentire della notizia che Standard & Poor's ha
prolungato il creditwatch negativo deciso lo scorso novembre per la banca, per
la quale ha un rating a lungo di BB- e a breve di B. Intanto, l'ad Giuseppe
Castagna ha dichiarato che dal roadshow è emerso "molto interesse" e
si è detto "fiducioso" sull'aumento di capitale che partirà tra
aprile e maggio.
Bpm. Titolo sotto i riflettori, dopo le parole dell'ad Pier Francesco Saviotti
che ha detto che se fondi istituzionali vorranno entrare nel capitale, anche
con quote importanti, saranno i benvenuti.
Telecom. Titolo in luce a Piazza Affari. Sarà ancora Telco a decidere il Cda,
anche se sulla presidenza si andrà probabilmente alla conta dei voti e saranno
i fondi a fare la differenza. I candidati al vertice del gruppo sono Giuseppe
Recchi per Telco e Vito Gamberale per la lista Fossati.
Pirelli. Il titolo potrebbe muoversi in Borsa dopo la notizia che il Tar del Lazio
ha respinto il ricorso di Lauro 61 contro l'aumento a 0,83 da 0,80 euro, deciso
da Consob, del prezzo dell'Opa lanciata su Camfin dalla holding partecipata da
Clessidra, Marco Tronchetti Provera, UniCredit e Intesa Sanpaolo. Intanto la
Consob ha avviato verifiche sul riassetto del gruppo, che prevede l'ingresso
del colosso petrolifero russo Rosneft nel capitale. Gli accordi con Rosneft
confermano a Tronchetti i pieni poteri di gestione, mentre i russi avranno sei
posti in Cda ma nessuna carica operativa, scrive Il Sole.
Snam. Titolo sotto i riflettori. La società investirà, nel periodo 2014-2017, 6
miliardi di euro per il potenziamento delle infrastrutture nazionali volto ad
aumentare la sicurezza e la flessibilità del sistema del gas, in contrazione
rispetto ai 6,9 miliardi previsti nel precedente piano. Confermato l'avvio
dell'hub del gas, con conseguente esportazione del metano verso il Nord ed Est
Europa a partire dal prossimo anno, per arrivare alla massima capacità nel
2017. L'ad Carlo Malacarne si attende di concludere, in positivo o in negativo,
il processo di acquisizione dell'89% del gasdotto Tag dalla Cdp, azionista di
riferimento della stessa Snam, entro la fine dell'anno.
Terna. Il titolo potrebbe reagire alla notizia che la società è interessata alla
privatizzazione di infrastrutture elettriche in Grecia,. Lo ha detto l'ad
Flavio Cattaneo.
Salini Impregilo. Ha stipulato un contratto per la cessione di Fisia Babcock Environment
alla giapponese Nippon Steel & Sumikin Engineering Co per 139,3 milioni di
euro, ma oltre metà dell'incasso (74 milioni circa) sarà utilizzato per
azzerare il debito con la controllata.
ProfessionefinanzaTAPERING E TASSI FED, ECCO COSA SPAVENTA I MERCATI
Come da attesa, la Federal
Reserve ha annunciato ieri sera il terzo “tapering” consecutivo,
ossia un nuovo taglio degli stimoli monetari per 10 miliardi di dollari al
mese. Pertanto, da aprile gli acquisti di Treasuries e bond coperti da ipoteca
immobiliare (“mortagage-backed securities”) scenderanno a 55 miliardi mensili,
di cui 30 relativi ai primi e 25 ai secondi.
Il Fomc, braccio operativo della
Fed, nel suo primo vertice sotto la direzione ufficiale di Janet Yellen,
ha confermato che il taglio degli stimoli dovrebbe procedere anche ai prossimi
board, seppure non esista un binario prefissato, visto che la banca centrale
americana si atterrà all’evoluzione dei dati macroeconomici.
Le
previsioni macro
E, infatti, la Yellen ha comunicato
una stima al ribasso, rispetto alle precedenti previsioni, del pil americano,
che quest’anno dovrebbe crescere all’interno della forchetta 2,8-3% da +3-3,2%.
Taglio anche delle stime relative al biennio 2015-’16, con il pil previsto in
crescita del 3-3,2% e 2,5-3% rispettivamente, ma in calo dalla precedente previsioni
di 3-3,4% e 2,5-3,2%.
Ma la vera novità della conferenza
stampa post-board di ieri del governatore è stato l’annuncio dell’abbandono del
tasso-obiettivo del 6,5% di disoccupazione. Essa dovrebbe scendere tra
il 6,1% e il 6,3% nel 2014 e sotto il 6% nel 2015, meglio delle stime
precedenti, che erano per un tasso del 6,3-6,6% per quest’anno e tra il 5,8% e
il 6,1% nel 2015.
Tuttavia, la Fed non aumenterà più i
tassi, quando la disoccupazione sarà scesa sotto il 6,5%, come si era impegnata
a fare sin dalla fine del 2012. Fermo restando, però, che l’inflazione
non dovrà salire oltre il 2,5%, ma lo stesso istituto prevede che essa si
attesterà all’1,5-1,6% nel 2014, sostanzialmente stabile rispetto alla stima di
dicembre di un +1,4-1,6%.
La questione
tassi Fed
Tutto bene, quindi, per i mercati?
No, perché sono bastate tre parole a mettere in subbuglio gli analisti e gli
investitori. La Yellen ha dichiarato, infatti, da un lato che quanto più la
disoccupazione e l’inflazione rimarranno lontani dai rispettivi tassi-obiettivo
(piena occupazione e inflazione almeno nel range 2-2,5%), tanto più a lungo i
tassi rimarranno ai minimi storici. Poi, però, ha aggiunto che i tassi saranno
alzati “entro sei mesi” dalla cessazione degli stimoli monetari, ammettendo al
contempo che la maggioranza dei governatori non si attende un rialzo dei tassi
prima del 2015.
Finora, la Fed aveva assicurato che
non sarebbe intervenuta per alzare i tassi, se non dopo “un tempo
considerevole” dalla fine degli stimoli monetari. Quantificare il tempo
considerevole è stato un esercizio affatto facile, ma non è un mistero che
specie con l’avvento della “colomba” radicale alla guida della banca centrale
USA, gli analisti si attendessero un’inversione di tendenza sui tassi solo
nella seconda metà del 2015. Ora, a conti fatti, calcolando che gli stimoli
dovrebbero essere del tutto abbandonati entro l’autunno, procedendo a un ritmo
di -10 miliardi a ogni board, un rialzo dei tassi dall’attuale range 0-0,25%
potrebbe avvenire già dalla prossima primavera, ossia in anticipo di qualche
mese dal previsto.
Nulla di sconvolgente, avrebbe
dovuto fare più notizia il taglio delle aspettative di crescita del pil negli
USA per il triennio in corso, ma essendo stati abituati ad anni di liquidità
immensa e a buonissimo mercato, ormai le aspettative sono state orientate verso
una politica monetaria quanto più espansiva possibile.
Se davvero i tassi saranno aumentati
nella prima parte del 2015, potrebbe materializzarsi la previsione di qualche
analista di saggi fino allo 0,75-1% entro la fine dell’anno prossimo. Ancora
troppo bassi e sotto il tasso d’inflazione, ma pur sempre 3-4 volte superiori
ai livelli attuali.
di Giuseppe Timpone
Investireoggi
LA SEPARAZIONE BANCARIA AL PARLAMENTO ITALIANO
Pochi giorni fa infatti il servizio studi del Senato ha preparato un dossier per informare i parlamentari sull’argomento contente 6 progetti di legge preparati da varie componenti politiche e con differenti soluzioni.
Negli anni passati, prima della crisi finanziaria globale, ma anche dopo,
per mancanza di una seria riforma e di regole più stringenti, l’intero sistema bancario ha giocato con la speculazione. Sono stati inventati innumerevoli strumenti finanziari tra i più”esotici”che hanno messo, e mettono, a rischio l’intero sistema bancario ed anche quello economico e produttivo. Il problema più grave è stato il coinvolgimento delle banche di deposito, che hanno “giocato” anche con i soldi dei risparmiatori partecipando ad operazioni finanziarie tra le più rischiose.
Inoltre uno dei problemi più pericolosi per le banche è quello del leverage, cioè della capacità di ottenere credito o di creare debito in rapporto al proprio capitale. Ad esempio, se le corporation economiche più grandi hanno un rapporto 50 a 50 tra il capitale proprio e il debito sottoscritto, per il sistema bancario il tasso è di 5 a 95, senza contare i debiti fatti e tenuti fuori bilancio.
I progetti di legge menzionati riprendono in vario modo le proposte e le politiche del Glass Steagall Act americano, la riforma bancaria voluta nel 1933 dal presidente Roosevelt che, proprio con la separazione tra le banche di deposito e quelle di investimento, affrontava di petto alcune delle cause di fondo della crisi del ’29 e della Grande Depressione.
I testi presentati in Senato nel loro insieme prevedono infatti il divieto per le banche commerciali di svolgere attività legate all’intermediazione dei valori mobiliari, cioè di svolgere attività proprie delle banche d’affari e delle SIM; il divieto di detenere partecipazioni o di stabilire accordi di collaborazione con banche d’affari che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico; il divieto di operare in condizioni di disequilibrio delle scadenze delle attività di raccolta e di impiego delle risorse finanziarie, ridefinendo così anche i requisiti prudenziali e di sana gestione; il divieto di trasferire rischi e perdite derivanti dall’attività di trading sulla liquidità e la solvibilità delle banche commerciali; il divieto di ricoprire cariche direttive e di detenere posizioni di controllo nelle banche commerciali da parte di rappresentanti, direttori, soci di riferimento e impiegati delle banche d’affari. I testi prevedono anche una differenziazione del trattamento fiscale tra banche commerciali e banche d’affari in favore delle prime.
Sarà opportuno che, al di là delle differenti impostazioni dei suddetti progetti di legge, il Parlamento colga le varie idee e proposte per promuovere una discussione approfondita e per formulare un incisivo documento di sintesi che getti le basi per una efficace e veloce riforma bancaria nazionale.
Anche altre importanti istituzioni finanziarie come la Consob, preposta all’attività di controllo sulla trasparenza in borsa, sono intervenute a favore della separazione bancaria. Durante una recente audizione alla Commissione finanze della Camera dei deputati, il presidente Giuseppe Vegas ha ribadito che “la risposta più efficace alla persistente finanziarizzazione dell’economia e alla prevenzione dei rischi sistemici è quella di implementare con convinzione un modello di separazione tra i diversi comparti dell’attività di intermediazione finanziaria, impedendo commistioni tra l’attività di banca commerciale e quella di banca d’investimento”. Per la Consob “ciò ridurrebbe gli effetti di contagio, legati ad una eccessiva assunzione di rischi, verso il settore bancario tradizionale, preservandone la capacità di trasferire risparmio all’economia reale e di sostenere la crescita delle imprese”.
La separazione bancaria infatti dovrebbe favorire le condotte più orientate al mercato e sollecitare maggiore creazione di credito bancario a favore del sistema produttivo. Dovrebbe anche impegnare le banche di deposito ad aumentare il volume del credito erogato a favore del sistema produttivo, anche incentivando l’apertura del mercato dei capitali alle media e piccole imprese e favorendo nel contempo lo sviluppo di nuovi strumenti di credito produttivo, quali i mini bond e altri fondi di investimento. La spinta dovrebbe andare verso il superamento del penalizzante credit crunch. Nel 2013 in Italia il credito erogato dal sistema bancario alle imprese è diminuito del 4,6% mentre il tasso applicato ai nuovi crediti sotto il milione di euro è dell’1,6% superiore a quello fatto in Germania e in Francia. source
Ci auguriamo che un voto unanime in Parlamento per la separazione bancaria sia il primo passo per portare con forza tale proposta a livello europeo dove altre voci che si sono espresse a suo favore, anche in sede di Commissione europea. La sfida è renderla subito operativa, senza quei rallentamenti e quegli annacquamenti che le potenti lobby bancarie sono state finora capaci di fare.
Carlo Scalzotto per Finanzanostop
PENSIONI E LAVORO: TFR IN BUSTA PAGA SUBITO
ROMA (WSI) -
L'Italia copia da San Marino? Il segretario della Fiom Maurizio Landini ha
chiesto che ogni lavoratore possa scegliere di incassare subito il TFR
maturato, anziché alla fine del rapporto di lavoro. Che è appunto la regola
nella Repubblica del Monte Titano.
La faccenda è complessa. Siamo di fronte a un prestito forzoso, cosa di per sé non bella, ma non mancano gli argomenti a difesa di un tale vincolo. Tuttavia in questa sede affronteremo un altro aspetto, sempre trascurato.
Il meccanismo di rivalutazione del TFR, fissato dall'art. 2120 del codice civile, è noto: tre quarti dell'inflazione più l'1,5% annuo.
Sono però regolarmente sconosciute le implicazioni finanziarie di tale meccanismo e soprattutto quanto esso protegga nei confronti dell'inflazione. Sindacati, gestori ed economisti di regime si guardano bene dal ricordarlo, dato e non concesso che l'abbiano capito.
Preferiscono sgolarsi per denigrare il TFR, onde intrappolare più lavoratori possibile nella previdenza integrativa, traendone indebiti vantaggi.
Ai livelli d'inflazione d'oggigiorno (0,50% annuo) lasciare il TFR in azienda o all'Inps frutta, a capitale garantito, un rendimento che va dal 2,2% al 2,9% netto da un anno all'altro. Quindi tantissimo rispetto ai tassi attuali. Paradossalmente la redditività sale col crescere del reddito imponibile, in quanto dipende dalle aliquote fiscali.
Ma - cosa ancora più importante perché sul breve i rischi d'inflazione sono bassi - le regole del TFR offrono una fortissima protezione sul lungo termine. Rispetto a incassare alla fine di ogni anno il TFR maturato, il sistema vigente ne preserva integralmente il potere d'acquisto anche in presenza di un'inflazione media del 7% annuo composto per trent'anni.
Anzi, se esistesse un titolo, deposito, buono ecc. con le caratteristiche del TFR, sarebbe l'ideale per il piccolo risparmiatore in cerca di sicurezza.
Un fatto però è certo: la proposta di Landini sarebbe la salvezza per chi ha il TFR sequestrato da fondi pensione e simili. Meglio incassarlo ogni anno e, potendo non spenderlo, destinarlo a impieghi comunque molto difensivi, quali i buoni fruttiferi postali indicizzati all'inflazione.
La faccenda è complessa. Siamo di fronte a un prestito forzoso, cosa di per sé non bella, ma non mancano gli argomenti a difesa di un tale vincolo. Tuttavia in questa sede affronteremo un altro aspetto, sempre trascurato.
Il meccanismo di rivalutazione del TFR, fissato dall'art. 2120 del codice civile, è noto: tre quarti dell'inflazione più l'1,5% annuo.
Sono però regolarmente sconosciute le implicazioni finanziarie di tale meccanismo e soprattutto quanto esso protegga nei confronti dell'inflazione. Sindacati, gestori ed economisti di regime si guardano bene dal ricordarlo, dato e non concesso che l'abbiano capito.
Preferiscono sgolarsi per denigrare il TFR, onde intrappolare più lavoratori possibile nella previdenza integrativa, traendone indebiti vantaggi.
Ai livelli d'inflazione d'oggigiorno (0,50% annuo) lasciare il TFR in azienda o all'Inps frutta, a capitale garantito, un rendimento che va dal 2,2% al 2,9% netto da un anno all'altro. Quindi tantissimo rispetto ai tassi attuali. Paradossalmente la redditività sale col crescere del reddito imponibile, in quanto dipende dalle aliquote fiscali.
Ma - cosa ancora più importante perché sul breve i rischi d'inflazione sono bassi - le regole del TFR offrono una fortissima protezione sul lungo termine. Rispetto a incassare alla fine di ogni anno il TFR maturato, il sistema vigente ne preserva integralmente il potere d'acquisto anche in presenza di un'inflazione media del 7% annuo composto per trent'anni.
Anzi, se esistesse un titolo, deposito, buono ecc. con le caratteristiche del TFR, sarebbe l'ideale per il piccolo risparmiatore in cerca di sicurezza.
Un fatto però è certo: la proposta di Landini sarebbe la salvezza per chi ha il TFR sequestrato da fondi pensione e simili. Meglio incassarlo ogni anno e, potendo non spenderlo, destinarlo a impieghi comunque molto difensivi, quali i buoni fruttiferi postali indicizzati all'inflazione.
Wallstreetitalia
IRPEF E TAGLIO TASSE: RISORSE INSUFFICIENTI
ROMA (WSI) -
Facciamo qualche conto al provvedimento fiore all'occhiello della politica
economica del Governo Renzi, cioè la detassazione dei redditi di 10 milioni di
lavoratori dipendenti.
Partiamo da una delle poche cose certe che si conosce, che desumiamo dal comunicato stampa ufficiale, pubblicato sul sito del Governo:
Si legge:
...Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in 10 miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, dal 1° maggio prossimo, per un ammontare di circa 1000 euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane
Da queste poche righe possiamo desumere 4 cose:
1) il governo intende stanziare 10 miliardi di euro per ridurre le tasse;
2) verranno ridotte a circa 10 milioni di contribuenti;
3) i contribuenti interessati sono solo ed esclusivamente lavoratori dipendenti con un reddito lordo di 25000 euro annui;
4) percepiranno circa 1000 euro annui aggiuntivi, a prescindere dal livello di reddito.
Quindi, da quanto scritto, sembrerebbe che l'azione del Governo intenda concentrarsi solo ed esclusivamente sui lavoratori dipendenti con determinate caratteristiche, escludendo, ad esempio, qualche milione di pensionati che vivono con un assegno che non supera i 500 euro mensili. Ma lasciamo stare.
Da quanto annunciato dal governo appare subito evidente che i conti non tornano. E non tornano per il semplice motivo che i contribuenti che hanno caratteristiche conformi a quelle individuate dal Governo (reddito da lavoro dipendente, sotto ai 25 mila euro annui lordi) sono circa 15 milioni di persone.
I dati della tabella sotto riportata sono desunti dal sito del Dipartimento delle Finanze e si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del periodo di imposta 2011.
Quindi, le risorse che Governo vorrebbe stanziare per finanziare la manovra non sono sufficienti per garantire 1000 euro a tutti i lavoratori dipendenti che hanno un reddito lordo annuo inferiore a 25000 euro. E questo è un primo dato.
Andiamo avanti nel ragionamento. Il governo, per ridurre le tasse alla platea di contribuenti considerati e assegnare loro i 1000 euro promessi, attribuirà (lo dice il comunicato stampa) delle detrazioni aggiuntive rispetto a quelle in essere. L'attuale impianto normativo prevede la totale detrazione d'imposta per i redditi da lavoro dipendente che non superano gli 8.000 euro annui circa. Quindi, costoro, che nel caso in esame sono quasi 4 milioni di contribuenti, non pagano l'Irpef per effetto delle detrazioni da lavoro dipendente spettanti. Da ciò se ne deduce che, non pagando l'imposta, non sarebbero avvantaggiati dalla proposta di Renzi, che, a questo punto, sarebbe destinata solo ai redditi compresi tra gli 8000 e i 25000 euro, oltre 11 milioni di contribuenti.
Ma anche per i redditi immediatamente successivi agli 8000 euro e fino a poco più di 11000 euro, considerate le detrazioni ora vigenti e la detrazione aggiuntiva di 1000 euro che il governo vorrebbe assegnare, l'imposta risulterebbe parzialmente capiente al fine di poter essere abbattuta dalla detrazione aggiuntiva proposta dal Governo. Ecco quindi che la platea dei contribuenti si ristringe ulteriormente di oltre un milione di contribuenti, avvicinandosi a circa dieci milioni di contribuenti che, stando al tenore letterale del comunicato del governo e al ragionamento sopra osservato, sarebbero interessati al beneficio dei mille euro annui.
Da quanto appena affermato se ne deduce che il governo vorrebbe lasciare fuori da questa misura redistributiva proprio quei redditi più bassi, cioè la catena più debole. Che poi sarebbero quei percettori di reddito con una propensione al consumo più alta, quindi di maggior impatto sul ciclo economico (seppur marginale, vista l'esiguità delle somme trattate).
Quindi, un numero considerevole di contribuenti esclusi. A meno che non si crei un meccanismo di imposta negativa che consenta di attribuire una sorta di sussidio monetario elargito dalla stato. Ma, in questo caso, non ci sarebbero abbastanza soldi per tutti (15 milioni di contribuenti), posto il fatto che la somma che il governo vorrebbe stanziare, nella migliore dell ipotesi e ammesso che si individuino le risorse necessarie per finanziarie la manovra, non supererà i 10 miliardi di euro.
Senza poi dimenticare che l'idea bizzarra di voler assegnare mille euro per ogni lavoratore dipendente con un reddito netto annuo inferiore ai 15000 euro, a prescindere dal livello del reddito percepito, oltre a creare un effetto distorsivo di equità (perché i redditi più alti avrebbero lo stesso beneficio dei redditi più bassi), genererebbe anche il paradosso che chi dispone di un reddito appena superiore ai 15000 euro, magari 15001 euro, verrebbe del tutto escluso escluso dal beneficio. Al tempo stesso sarebbe incentivato a ridursi il proprio reddito appena sotto i 15000 euro, al fine di godere dei 1000 euro. Una situazione paradossale, direi.
Un ragionamento a parte lo merita l'individuazione delle risorse necessarie per finanziare il taglio.
Proprio ieri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Delrio, in un'intervista rilasciata al Corriere delle Sera, ha affermato che il Governo potrebbe finanziare il taglio del cuneo fiscale per la parte relativa al 2014 con una spending review, nell'ordine di 4-5 miliardi di euro, ma anche con entrate straordinarie come l'Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione o il rientro dei capitali. E se questo non bastasse si prenderebbe in considerazione un lieve rialzo del deficit/Pil dal 2,6%.
Alcune considerazioni sono d'obbligo.
Al netto del fatto che, per il 2014, le risorse necessarie per finanziarie il taglio delle tasse sono ridotte in ragione del periodo temporale inferiore all'anno (la riduzione partirebbe da maggio), vi è, innanzitutto, il problema che la manovra di politica economica di carattere strutturale annunciata dal Governo, verrebbe finanziata con entrate una tantum, peraltro assai aleatorie (rientro capitali, Iva sui pagamenti della Pa).
La stessa spending review non è detto che porti nell'anno in corso a risparmi dell'ordine di quelli enunciati da Delrio. E questo anche per ammissione dello stesso Cottarelli. Vi è poi la questione relativa alla possibilità di utilizzare del deficit aggiuntivo oltre al 2,6% evocata da Delrio, pur rimanendo entro al 3%. In questa ipotesi andrebbe considerato che il livello del 2,6% è calcolato ipotizzando una crescita del Pil dell'1%. Ma stando alle previsioni di crescita elaborate da più o meno tutte le istituzioni internazionali, il PIl, nel 2014 crescerà molto meno dell'1% ipotizzato dal Governo nella Nota di Aggiornamento dal DEF dello scorso ottobre. Ed è verosimile pensare che questo sia già oltre il 3%.
Arrivati a questo punto possiamo concludere che il sospetto sia proprio quello che il Governo, nell'annunciare l'iniziativa -magari per fini propagandistici, anche in vista delle prossime elezioni europee- non abbia tenuto conto della realtà dei numeri, assai differenti rispetto a quelli "immaginati dal Governo.
Partiamo da una delle poche cose certe che si conosce, che desumiamo dal comunicato stampa ufficiale, pubblicato sul sito del Governo:
Si legge:
...Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in 10 miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, dal 1° maggio prossimo, per un ammontare di circa 1000 euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane
Da queste poche righe possiamo desumere 4 cose:
1) il governo intende stanziare 10 miliardi di euro per ridurre le tasse;
2) verranno ridotte a circa 10 milioni di contribuenti;
3) i contribuenti interessati sono solo ed esclusivamente lavoratori dipendenti con un reddito lordo di 25000 euro annui;
4) percepiranno circa 1000 euro annui aggiuntivi, a prescindere dal livello di reddito.
Quindi, da quanto scritto, sembrerebbe che l'azione del Governo intenda concentrarsi solo ed esclusivamente sui lavoratori dipendenti con determinate caratteristiche, escludendo, ad esempio, qualche milione di pensionati che vivono con un assegno che non supera i 500 euro mensili. Ma lasciamo stare.
Da quanto annunciato dal governo appare subito evidente che i conti non tornano. E non tornano per il semplice motivo che i contribuenti che hanno caratteristiche conformi a quelle individuate dal Governo (reddito da lavoro dipendente, sotto ai 25 mila euro annui lordi) sono circa 15 milioni di persone.
I dati della tabella sotto riportata sono desunti dal sito del Dipartimento delle Finanze e si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del periodo di imposta 2011.
Quindi, le risorse che Governo vorrebbe stanziare per finanziare la manovra non sono sufficienti per garantire 1000 euro a tutti i lavoratori dipendenti che hanno un reddito lordo annuo inferiore a 25000 euro. E questo è un primo dato.
Andiamo avanti nel ragionamento. Il governo, per ridurre le tasse alla platea di contribuenti considerati e assegnare loro i 1000 euro promessi, attribuirà (lo dice il comunicato stampa) delle detrazioni aggiuntive rispetto a quelle in essere. L'attuale impianto normativo prevede la totale detrazione d'imposta per i redditi da lavoro dipendente che non superano gli 8.000 euro annui circa. Quindi, costoro, che nel caso in esame sono quasi 4 milioni di contribuenti, non pagano l'Irpef per effetto delle detrazioni da lavoro dipendente spettanti. Da ciò se ne deduce che, non pagando l'imposta, non sarebbero avvantaggiati dalla proposta di Renzi, che, a questo punto, sarebbe destinata solo ai redditi compresi tra gli 8000 e i 25000 euro, oltre 11 milioni di contribuenti.
Ma anche per i redditi immediatamente successivi agli 8000 euro e fino a poco più di 11000 euro, considerate le detrazioni ora vigenti e la detrazione aggiuntiva di 1000 euro che il governo vorrebbe assegnare, l'imposta risulterebbe parzialmente capiente al fine di poter essere abbattuta dalla detrazione aggiuntiva proposta dal Governo. Ecco quindi che la platea dei contribuenti si ristringe ulteriormente di oltre un milione di contribuenti, avvicinandosi a circa dieci milioni di contribuenti che, stando al tenore letterale del comunicato del governo e al ragionamento sopra osservato, sarebbero interessati al beneficio dei mille euro annui.
Da quanto appena affermato se ne deduce che il governo vorrebbe lasciare fuori da questa misura redistributiva proprio quei redditi più bassi, cioè la catena più debole. Che poi sarebbero quei percettori di reddito con una propensione al consumo più alta, quindi di maggior impatto sul ciclo economico (seppur marginale, vista l'esiguità delle somme trattate).
Quindi, un numero considerevole di contribuenti esclusi. A meno che non si crei un meccanismo di imposta negativa che consenta di attribuire una sorta di sussidio monetario elargito dalla stato. Ma, in questo caso, non ci sarebbero abbastanza soldi per tutti (15 milioni di contribuenti), posto il fatto che la somma che il governo vorrebbe stanziare, nella migliore dell ipotesi e ammesso che si individuino le risorse necessarie per finanziarie la manovra, non supererà i 10 miliardi di euro.
Senza poi dimenticare che l'idea bizzarra di voler assegnare mille euro per ogni lavoratore dipendente con un reddito netto annuo inferiore ai 15000 euro, a prescindere dal livello del reddito percepito, oltre a creare un effetto distorsivo di equità (perché i redditi più alti avrebbero lo stesso beneficio dei redditi più bassi), genererebbe anche il paradosso che chi dispone di un reddito appena superiore ai 15000 euro, magari 15001 euro, verrebbe del tutto escluso escluso dal beneficio. Al tempo stesso sarebbe incentivato a ridursi il proprio reddito appena sotto i 15000 euro, al fine di godere dei 1000 euro. Una situazione paradossale, direi.
Un ragionamento a parte lo merita l'individuazione delle risorse necessarie per finanziare il taglio.
Proprio ieri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Delrio, in un'intervista rilasciata al Corriere delle Sera, ha affermato che il Governo potrebbe finanziare il taglio del cuneo fiscale per la parte relativa al 2014 con una spending review, nell'ordine di 4-5 miliardi di euro, ma anche con entrate straordinarie come l'Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione o il rientro dei capitali. E se questo non bastasse si prenderebbe in considerazione un lieve rialzo del deficit/Pil dal 2,6%.
Alcune considerazioni sono d'obbligo.
Al netto del fatto che, per il 2014, le risorse necessarie per finanziarie il taglio delle tasse sono ridotte in ragione del periodo temporale inferiore all'anno (la riduzione partirebbe da maggio), vi è, innanzitutto, il problema che la manovra di politica economica di carattere strutturale annunciata dal Governo, verrebbe finanziata con entrate una tantum, peraltro assai aleatorie (rientro capitali, Iva sui pagamenti della Pa).
La stessa spending review non è detto che porti nell'anno in corso a risparmi dell'ordine di quelli enunciati da Delrio. E questo anche per ammissione dello stesso Cottarelli. Vi è poi la questione relativa alla possibilità di utilizzare del deficit aggiuntivo oltre al 2,6% evocata da Delrio, pur rimanendo entro al 3%. In questa ipotesi andrebbe considerato che il livello del 2,6% è calcolato ipotizzando una crescita del Pil dell'1%. Ma stando alle previsioni di crescita elaborate da più o meno tutte le istituzioni internazionali, il PIl, nel 2014 crescerà molto meno dell'1% ipotizzato dal Governo nella Nota di Aggiornamento dal DEF dello scorso ottobre. Ed è verosimile pensare che questo sia già oltre il 3%.
Arrivati a questo punto possiamo concludere che il sospetto sia proprio quello che il Governo, nell'annunciare l'iniziativa -magari per fini propagandistici, anche in vista delle prossime elezioni europee- non abbia tenuto conto della realtà dei numeri, assai differenti rispetto a quelli "immaginati dal Governo.
Wallstreetitalia
RENZI CHIEDE FONDI FUORI DAL PATTO DI
STABILITA’
ROMA (WSI) -
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, chiederà oggi al Consiglio europeo
di Bruxelles che i fondi strutturali vengano esclusi dai vincoli posti dal
patto di stabilità. Lo ha spiegato Vasco Errani, presidente della conferenza
delle Regioni, al termine dell'incontro con il premier a Palazzo Chigi.
"Sul patto di stabilità - ha detto - la nostra proposta è stata accolta: il governo porrà in sede europea il tema dei fondi Ue fuori dal patto di stabilità, così come aveva fatto il precedente esecutivo".
Ieri il premier Renzi, in vista del vertice Ue dove presenterà il piano delle riforme, aveva parlato alle aule. E nel suo intervento in Senato il presidente del Consiglio aveva assicurato che il governo "è determinato a rispettare l'agenda che ci siamo dati in sede di dichiarazioni per la fiducia", perchè "l'Italia ha voglia di arrivare al semestre avendo fatto le riforme".
Su questo "si giocherà la credibilità delle istituzioni, a partire dal governo, affermando il principio che il rispetto delle regole del gioco in Europa non deriva da un'imposizione altrui ma da una scelta politica consapevole, e che saremo in grado di modificare le regole del gioco in Europa solo se avremo dimostrato che noi siamo in grado di modificare il nostro Paese e di essere credibili con i nostri cittadini". (TMNEWS)
"Sul patto di stabilità - ha detto - la nostra proposta è stata accolta: il governo porrà in sede europea il tema dei fondi Ue fuori dal patto di stabilità, così come aveva fatto il precedente esecutivo".
Ieri il premier Renzi, in vista del vertice Ue dove presenterà il piano delle riforme, aveva parlato alle aule. E nel suo intervento in Senato il presidente del Consiglio aveva assicurato che il governo "è determinato a rispettare l'agenda che ci siamo dati in sede di dichiarazioni per la fiducia", perchè "l'Italia ha voglia di arrivare al semestre avendo fatto le riforme".
Su questo "si giocherà la credibilità delle istituzioni, a partire dal governo, affermando il principio che il rispetto delle regole del gioco in Europa non deriva da un'imposizione altrui ma da una scelta politica consapevole, e che saremo in grado di modificare le regole del gioco in Europa solo se avremo dimostrato che noi siamo in grado di modificare il nostro Paese e di essere credibili con i nostri cittadini". (TMNEWS)
Wallstreetitalia
A CACCIA DI LIQUIDITA’ I CINESI SVENDONO
CASE OVUNQUE
NEW YORK
(WSI) - Alla fine il surriscaldamento dell'economia cinese - e gli attuali
timori sulla sostenibilità del paese di continuare a crescere a un ritmo solido
- rischiano di far esplodere non solo una gigantesca bolla immobiliare in Cina,
ma di mettere a rischio anche numerosi mercati globali del mattone.
Negli ultimi anni, a fare shopping nei mercati immobiliari delle abitazioni di lusso, ci sono infatti anche loro: i miliardi cinesi. Molti dei quali stanno scappando però a gambe levate dalle diverse città, a caccia di liquidità per ripianare gli ingenti crediti a cifre astronomiche che hanno ricevuto negli ultimi anni dalle banche.
"Alcune banche stavano e stanno tutt'ora inseguendo i proprietari delle case per avere i soldi -", ha dichiarato Ricky Poon, direttore della divisione di vendite di case residenziali di Colliers International - (I milionari) hanno bisogno di contanti da riportare a casa e quindi stanno anche svendendo" le loro abitazioni. La fretta di ottenere cash è così forte, da portare molti cinesi a smobilizzare le loro abitazioni a prezzi decisamente stracciati rispetto a quelli pagati al momento dell'acquisto.
Nel distretto di West Kowloon a Hong Kong, i proprietari cinesi stanno effettuando grandi sconti, anche per appartamenti da 3 o 4 camere da letto.
Questo mese ad esempio, un appartamento da 121 metri quadrati all'Imperial Cullinan, area reputata molto prestigiosa e sviluppata nel 2012, è stata venduta a 1,797 milioni di euro, ovvero il 17% in meno rispetto al prezzo originale. Tutto questo perché il proprietario aveva fatto richiesta di vendere l'appartamento "il prima possibile".
Sempre nella stessa zona, un appartamento da 60 metri quadrati, con due camere da letto, è stato venduto in soli due giorni dopo che il proprietario cinese l'aveva messo sul mercato a 610 mila euro. È stato definito dagli agenti immobiliari, il miglior affare dell'anno, il prezzo più basso per un appartamento di quel genere.
Vi saranno numerose altre occasioni del genere, ma questo perché? Il motivo è semplice, una volta che si è scatenato il panico, la gente pensa solo ad una cosa. Vendere.
La cosa più importante ora, è vendere il prima possibile, ma una volta che questa frenesia ad Hong Kong sarà finita e, probabilmente, lascerà la città in uno stato di shock, i cinesi si butteranno su altre località dove hanno proprietà, come Los Angeles, New York, Londra, Zurigo e Ginevra.
La buona notizia? Tutte quelle case inaccessibili a prezzi che erano a cifre stratosferiche saranno presto disponibili al pubblico. Soprattutto una volta che questa bolla immobiliare globale scoppierà definitivamente. La cattiva notizia è il rischio di uno shock immobiliare in tutto il mondo.
Wallstreetitalia
Negli ultimi anni, a fare shopping nei mercati immobiliari delle abitazioni di lusso, ci sono infatti anche loro: i miliardi cinesi. Molti dei quali stanno scappando però a gambe levate dalle diverse città, a caccia di liquidità per ripianare gli ingenti crediti a cifre astronomiche che hanno ricevuto negli ultimi anni dalle banche.
"Alcune banche stavano e stanno tutt'ora inseguendo i proprietari delle case per avere i soldi -", ha dichiarato Ricky Poon, direttore della divisione di vendite di case residenziali di Colliers International - (I milionari) hanno bisogno di contanti da riportare a casa e quindi stanno anche svendendo" le loro abitazioni. La fretta di ottenere cash è così forte, da portare molti cinesi a smobilizzare le loro abitazioni a prezzi decisamente stracciati rispetto a quelli pagati al momento dell'acquisto.
Nel distretto di West Kowloon a Hong Kong, i proprietari cinesi stanno effettuando grandi sconti, anche per appartamenti da 3 o 4 camere da letto.
Questo mese ad esempio, un appartamento da 121 metri quadrati all'Imperial Cullinan, area reputata molto prestigiosa e sviluppata nel 2012, è stata venduta a 1,797 milioni di euro, ovvero il 17% in meno rispetto al prezzo originale. Tutto questo perché il proprietario aveva fatto richiesta di vendere l'appartamento "il prima possibile".
Sempre nella stessa zona, un appartamento da 60 metri quadrati, con due camere da letto, è stato venduto in soli due giorni dopo che il proprietario cinese l'aveva messo sul mercato a 610 mila euro. È stato definito dagli agenti immobiliari, il miglior affare dell'anno, il prezzo più basso per un appartamento di quel genere.
Vi saranno numerose altre occasioni del genere, ma questo perché? Il motivo è semplice, una volta che si è scatenato il panico, la gente pensa solo ad una cosa. Vendere.
La cosa più importante ora, è vendere il prima possibile, ma una volta che questa frenesia ad Hong Kong sarà finita e, probabilmente, lascerà la città in uno stato di shock, i cinesi si butteranno su altre località dove hanno proprietà, come Los Angeles, New York, Londra, Zurigo e Ginevra.
La buona notizia? Tutte quelle case inaccessibili a prezzi che erano a cifre stratosferiche saranno presto disponibili al pubblico. Soprattutto una volta che questa bolla immobiliare globale scoppierà definitivamente. La cattiva notizia è il rischio di uno shock immobiliare in tutto il mondo.
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IL MISTERO DELLA CASA FIORENTINA DI RENZI
ROMA (WSI) -
Matteo Renzi ha vissuto per quasi tre anni un un appartamento vicino a Palazzo
Vecchio, in via degli Alfani 8. Ma a pagare l’affitto è stato l’amico Marco
Carrai.
Per questo la procura di Firenze, come riportano alcuni quotidiani, ha aperto un fascicolo esplorativo, a seguito di un esposto, per fare luce sui rapporti tra l’ex sindaco e l’imprenditore e verificare se tra i due ci sia stato uno scambio di favori.
Al momento non ci sono né ipotesi di reato né indagati e il procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei affiderà le indagini a un pm per verificare che l’interesse pubblico non sia stato danneggiato.
Il presidente del Consiglio ha vissuto nella casa per 34 mesi, dal 14 marzo 2011 al 22 gennaio di quest’anno e lì aveva trasferito la sua residenza da Pontassieve (dove vive la moglie coi tre figli) per potere votare nella città che governava.
Aveva scelto l’appartamento in via degli Alfani 8 dopo avere lasciato una mansarda dietro Palazzo Vecchio perché l’affitto – da mille euro al mese – era troppo costoso.
Il proprietario della casa, scrive il Corriere della Sera, è Alessandro Dini, consigliere di amministrazione della Rototype, azienda il cui sito web è curato da da un’agenzia di comunicazione – Dotmedia – che vede tra i soci anche il cognato di Renzi.
Marco Carrai, consigliere del premier vicino a Comunione e Liberazione che in passato ha guidato Firenze Parcheggi, oggi è presidente di Aeroporti Firenze e di Fondazione Open (ex fondazione Big Bang che ha gestito le campagne elettorali di Renzi).
La società C&T Crossmedia di cui è socio si è aggiudicata un servizio per visitare Palazzo Vecchio con la guida di un tablet. Ma Carrai in questi giorni è finito nel mirino anche per la vicenda che vede coinvolta Francesca Campana Comparini, sua fidanzata che sposerà a settembre.
La ragazza, 26enne laureata in filosofia, è tra i curatori della mostra su Jackson Pollock e Michelangelo, la più importante e prestigiosa a Firenze nel 2014. Si svolgerà a Palazzo Vecchio ed è costata al Comune 375mila euro. I due consiglieri fiorentini di opposizione De Zordo (Per un’altra città) e Grassi (Sel) hanno chiesto al al vicesindaco reggente Nardella: "Se una ragazza di 26 anni, laureata in Filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano, è perché conosce qualcuno o perché conosce qualcosa?".
Secondo quando pubblicato dal Fatto, Comparini ha soltanto un titolo contro i 62 di un altro curatore della mostra, Sergio Risaliti. E l’unico saggio che ha pubblicato è per il catalogo della mostra di Zhang Huan, commissionato dal Comune di Firenze.
Per questo la procura di Firenze, come riportano alcuni quotidiani, ha aperto un fascicolo esplorativo, a seguito di un esposto, per fare luce sui rapporti tra l’ex sindaco e l’imprenditore e verificare se tra i due ci sia stato uno scambio di favori.
Al momento non ci sono né ipotesi di reato né indagati e il procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei affiderà le indagini a un pm per verificare che l’interesse pubblico non sia stato danneggiato.
Il presidente del Consiglio ha vissuto nella casa per 34 mesi, dal 14 marzo 2011 al 22 gennaio di quest’anno e lì aveva trasferito la sua residenza da Pontassieve (dove vive la moglie coi tre figli) per potere votare nella città che governava.
Aveva scelto l’appartamento in via degli Alfani 8 dopo avere lasciato una mansarda dietro Palazzo Vecchio perché l’affitto – da mille euro al mese – era troppo costoso.
Il proprietario della casa, scrive il Corriere della Sera, è Alessandro Dini, consigliere di amministrazione della Rototype, azienda il cui sito web è curato da da un’agenzia di comunicazione – Dotmedia – che vede tra i soci anche il cognato di Renzi.
Marco Carrai, consigliere del premier vicino a Comunione e Liberazione che in passato ha guidato Firenze Parcheggi, oggi è presidente di Aeroporti Firenze e di Fondazione Open (ex fondazione Big Bang che ha gestito le campagne elettorali di Renzi).
La società C&T Crossmedia di cui è socio si è aggiudicata un servizio per visitare Palazzo Vecchio con la guida di un tablet. Ma Carrai in questi giorni è finito nel mirino anche per la vicenda che vede coinvolta Francesca Campana Comparini, sua fidanzata che sposerà a settembre.
La ragazza, 26enne laureata in filosofia, è tra i curatori della mostra su Jackson Pollock e Michelangelo, la più importante e prestigiosa a Firenze nel 2014. Si svolgerà a Palazzo Vecchio ed è costata al Comune 375mila euro. I due consiglieri fiorentini di opposizione De Zordo (Per un’altra città) e Grassi (Sel) hanno chiesto al al vicesindaco reggente Nardella: "Se una ragazza di 26 anni, laureata in Filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano, è perché conosce qualcuno o perché conosce qualcosa?".
Secondo quando pubblicato dal Fatto, Comparini ha soltanto un titolo contro i 62 di un altro curatore della mostra, Sergio Risaliti. E l’unico saggio che ha pubblicato è per il catalogo della mostra di Zhang Huan, commissionato dal Comune di Firenze.
Wallstreetitalia
I LAVORI MIGLIORI DEI PROSSIMI 25 ANNI
NEW YORK
(WSI) - Quali sono le carriere che un giovane dovrebbe pensare di
intraprendere oggi? Una bella e difficile domanda, soprattutto visti i tempi
che corrono, e a cui Graeme Maxton, famoso economista scozzese, ha
provato a dare una risposta, in un articolo che è stato riportato dal Financial Times.
Ecco i migliori lavori dei prossimi 25 anni.
Receptionist. Nel 1989 si predisse che nel futuro le persone, una volta giunte in un ufficio o palazzo, sarebbero potute entrare solamente inserendo i propri dati e informazioni. Ma per questioni di sicurezza, aziende e anche governi, tutt'ora preferiscono ancora far uso del personale in carne e ossa per accogliere i visitatori. Non vi è quindi possibilità che questa opzione cambi nei prossimi decenni.
Ricercatori climatici. Sempre nel 1989, più precisamente il 6 marzo di quell'anno, dati informatici predissero un innalzamento delle temperature di diversi gradi nel corso degli anni a venire, oltre a diversi problemi con le coltivazioni e molte inondazioni. Ed è certo che ulteriori informazioni su come il clima cambierà continueranno a essere necessarie.
Cura degli anziani. La cura delle persone anziane ha creato un mercato di nuove opportunità, anche quando si parla di specifici prodotti da utilizzare. Molti sono i lavori che seguono e portano soccorso ai più anziani. Anche se spesso sottopagati, sicuramente non spariranno.
Assistente esecutivo. Tempo fa si pensava che con l'avvento del telefonino e dei diari elettronici il ruolo del segretario sarebbe cambiato, fino a divenire praticamente inutile. Invece c'è stata una sorta di evoluzione e oltre a fare il lavoro di routine, ora gli assistenti gestiscono anche la vita dei loro capi.
Ecco i migliori lavori dei prossimi 25 anni.
Receptionist. Nel 1989 si predisse che nel futuro le persone, una volta giunte in un ufficio o palazzo, sarebbero potute entrare solamente inserendo i propri dati e informazioni. Ma per questioni di sicurezza, aziende e anche governi, tutt'ora preferiscono ancora far uso del personale in carne e ossa per accogliere i visitatori. Non vi è quindi possibilità che questa opzione cambi nei prossimi decenni.
Ricercatori climatici. Sempre nel 1989, più precisamente il 6 marzo di quell'anno, dati informatici predissero un innalzamento delle temperature di diversi gradi nel corso degli anni a venire, oltre a diversi problemi con le coltivazioni e molte inondazioni. Ed è certo che ulteriori informazioni su come il clima cambierà continueranno a essere necessarie.
Cura degli anziani. La cura delle persone anziane ha creato un mercato di nuove opportunità, anche quando si parla di specifici prodotti da utilizzare. Molti sono i lavori che seguono e portano soccorso ai più anziani. Anche se spesso sottopagati, sicuramente non spariranno.
Assistente esecutivo. Tempo fa si pensava che con l'avvento del telefonino e dei diari elettronici il ruolo del segretario sarebbe cambiato, fino a divenire praticamente inutile. Invece c'è stata una sorta di evoluzione e oltre a fare il lavoro di routine, ora gli assistenti gestiscono anche la vita dei loro capi.
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BUGIE IN FINANZA: COME SCOVARLE
“Caro Pinocchio, ci sono due specie
di bugie, quelle che hanno le gambe corte e quelle che hanno il naso lungo. E
le tue, per l’appunto, sono di quelle che hanno il naso lungo”. Sulla capacità
di scoprire quando una persona mente è nata un’intera letteratura (popolare e
scientifica) che rischia di complicare la vita, fra gli altri, anche agli
operatori finanziari.
Il sistema più comune per indentificare una bugia (e un bugiardo) è quello del linguaggio del corpo. Secondo uno studio condotto da Global Deception Research Team nel 2006 (che ha interessato 82 nazioni in tutto il mondo), il 75% delle persone è convinto di poter individuare chi mente dal movimento degli occhi (lo spostamento dello sguardo). Una sicumera che non manca nemmeno in campo finanziario. Un report intitolato Detecting lies in the financial industry: a survey on investment professionals’ beliefs (Scoprire le bugie nell’industria finanziaria: sondaggio sulle credenze dei professionisti dell’investimento), firmato da Maria Hartwig (docente di psicologia alla City University di New York) e Jason Voss (direttore dei contenuti del Cfa Institute), dice che il 67% circa dei professionisti della finanza è convinto di poter capire quando una persona sta mentendo. Una capacità non da poco in un settore come quello degli investimenti che, periodicamente, è messo all’indice per l’abilità di alcune persone di promettere mirabolanti (e falsi) rendimenti.
Il sistema più comune per indentificare una bugia (e un bugiardo) è quello del linguaggio del corpo. Secondo uno studio condotto da Global Deception Research Team nel 2006 (che ha interessato 82 nazioni in tutto il mondo), il 75% delle persone è convinto di poter individuare chi mente dal movimento degli occhi (lo spostamento dello sguardo). Una sicumera che non manca nemmeno in campo finanziario. Un report intitolato Detecting lies in the financial industry: a survey on investment professionals’ beliefs (Scoprire le bugie nell’industria finanziaria: sondaggio sulle credenze dei professionisti dell’investimento), firmato da Maria Hartwig (docente di psicologia alla City University di New York) e Jason Voss (direttore dei contenuti del Cfa Institute), dice che il 67% circa dei professionisti della finanza è convinto di poter capire quando una persona sta mentendo. Una capacità non da poco in un settore come quello degli investimenti che, periodicamente, è messo all’indice per l’abilità di alcune persone di promettere mirabolanti (e falsi) rendimenti.
Meglio
studiare
“La verità è che quando abbiamo
davanti una persona abbiamo il 50% delle probabilità di indovinare se mente o
se sta dicendo la verità”, ha spiegato la professoressa Hartwig durante un
seminario della Cfa Society che si è tenuto in Canada a novembre dell’anno
scorso. “Se anche conoscessimo a memoria tutti i segnali corporei espressi da
un bugiardo, non saremmo in grado di individuarli e decifrarli in una
situazione reale”. Una delle soluzioni è quella di agire a monte, mettendo in
campo delle strategie che permettano di ottenere informazioni utili. Ad esempio
raccogliendo report finanziari sull’argomento che si andrà a discutere per
capire quali sono gli elementi ricorrenti in quel tipo di investimento. Occorre
poi preparare domande pertinenti e dirette che costringano l’interlocutore a
dare risposte precise. “Una domanda generica del tipo: “Qual è la vostra
strategia?” lascia campo libero a chi vuole dare una risposta che trae in
inganno”, ha detto la professoressa Hartwig. “Meglio, invece, mettere in
relazione l’investimento che ci viene proposto con altri simili in modo da
costringere chi ce lo offre a entrare nei dettagli”.
Il Pinocchio
cinese
Il tema della preparazione e dello
studio per evitare di prendere una sòla quando si investe è fondamentale. Si
prenda il caso della Cina. La prima economia emergente del mondo viene
considerata uno dei motori della ripresa globale, anche se la sua crescita è
passata dal 10% e oltre di qualche anno fa a un più modesto (anche se
rispettabile 7%). Nel frattempo Pechino pubblica dati macro che ruotano sempre
vicino alle previsioni più ottimistiche degli economisti. Numeri che spingono
molti investitori e buona parte dei media a continuare a parlare della Cina
come di un El Dorado. Queste informazioni, tuttavia, mostrano qualcosa che non
va quando vengono incrociate con altre notizie. Ad esempio quella, arrivata da
un rapporto del Center for China and Globalization (un think tank indipendente),
secondo cui almeno 22mila cinesi con una ricchezza superiore al milione di
dollari (fra cui molti membri del Partito comunista) starebbero spostando i
capitali all’estero. In alcuni casi si tratterebbe delle stesse persone che,
pubblicamente, sottolineano la loro fede nei piani quinquennali e, più in
generale, nel cosiddetto “capitalismo rosso”.
Trend-onlineUE: C’E’ ACCORDO SUL FONDO SALVA BANCHE
Al termine di una notte di negoziati il Parlamento europeo e i Paesi europei sono giunti a un accordo sulle regole del Fondo di risoluzione delle crisi delle banche, uno dei pilastri dell'Unione bancaria europea.
Questo accordo politico politico riguarda un meccanismo per evitare che il fallimento delle banche in crisi della zona euro pesi sull'economia e mira ad aumentare gli oneri finanziari sul settore bancario e non sui contribuenti.
Il negoziato tra la delegazione parlamentare e i responsabili politici dei gruppi è durato oltre 15 ore ed è finito alle 7 di stamani.
In dettaglio, il fondo unico di soluzione delle crisi bancarie sarà costituito in otto anni, ma il 70% delle risorse complessive sarà versato già nei primi tre anni. Il veicolo inoltre avrà, a regime, risorse per 55 miliardi che dovranno essere versati dai fondi di risoluzione nazionali tramite contributi versati dalle banche commerciali stati.
"La mutualizzazione sarà molto veloce, e questo risponde a una delle nostre richieste", afferma Elisa Ferreira, relatrice in commissione Problemi economici del Parlamento europeo che per questa istituzione ha tenuto le fila della trattativa. Ora il testo sarà all'attenzione dei capi di Stato e di governo per e poi sarà al voto della plenaria ad aprile (sessione del 14-17 aprile).
I punti sul meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie su cui si è discusso maggiormente riguardano la sua entrata a regime, inizialmente prevista tra 10 anni e l'ammontare delle risorse del fondo finanziate da una imposta sulle banche.
Infine la questione del ''backstop'', ovvero delle risorse necessarie a coprire eventuali esigenze di intervento nell'attesa che il fondo di risoluzione entri a regime. Qui le maggiori divisioni. La Germania predilige un ''backstop'' in capo ai singoli paesi, mentre altri parter europei, Italia inclusa, preferirebbero un backstop sempre pubblico ma di natura comunitaria.
Non è una differenza da poco. Nel caso di backstop nazionali le risorse impiegate andrebbero contabilizzate sul debito pubblico del singolo Paese, non peserebbe invece sul debito pubblico nazionale l'utilizzo di risorse da un backstop comunitario.
In ogni caso l'intesa conferisce alla Bce un ruolo primario nelle decisioni sulla chiusura di una banca, rendendo più difficile il compito per la nuova agenzia di risoluzione e limitando il raggio d'azione dei ministri dei singoli paesi. Al via anche una nuova agenzia per chiudere le banche troppo fragili per sopravvivere.
L'accordo costituisce "la riforma più importante dall'introduzione dell'euro", ha detto il commissario al mercato interno e ai servizi finanziari Michel Barnier. "Sono passati meno di due anni da quando, nell'aprile del 2012, il presidente Barroso ha proposto il progetto di un'Unione bancaria", ha ricordato Banier, "e un tempo così corto per una riforma così fondamentale è un risultato notevole".
Milano Finanza
COMMENTO IN CHIUSURA
Piazza Affari ha chiuso in rialzo una seduta frenata dalle parole di ieri sera di Janet Yellen, che ha aperto alla possibilità di mettere fine alla politica monetaria ultraespansiva della Fed con un rialzo dei tassi primi del previsto. La Fed, come da attese, ha inoltre ridotto di altri 10 miliardi di dollari il suo piano mensile di acquisto titoli che ora si attesta a 55 miliardi. Sempre attuali le preoccupazioni di una frenata della crescita cinese. Goldman Sachs ha abbassato le stime sul Pil di Pechino relative al 2014 (+7,3% da +7,6%) e al 2015 (+7,6% da +7,8%). La spinta al listino milanese è arrivata dall´andamento di Wall Street che ha sfruttato una serie di dati macro migliori delle attese, in particolare l´indicatore principale di febbraio salito dello 0,5% contro previsioni ferme a 0,3%. E così a Piazza Affari l´indice Ftse Mib ha guadagnato lo 0,56% a 21.094 punti.
Nel comparto bancario da segnalare le vendite che hanno colpito la Popolare di Milano (-1,83% a 0,67 euro) dopo l´annuncio giunto ieri a mercati chiusi da parte di Standard & Poor´s. L´agenzia di rating statunitense ha posto la valutazione sull´istituto di Piazza Meda (BB- per il lungo termine, B per il breve) in "creditwatch" con implicazioni negative. La decisione, hanno spiegato gli esperti, è riconducibile alle "incertezze che circondano la riforma della governance e l´aumento di capitale". In negativo anche il Monte paschi che ha perso l´1,16% a 0,238 euro. Gli acquisti hanno invece premiato Banco Popolare (+0,17% a 17,40 euro), Popolare dell´Emilia Romagna (+2,38% a 8,595 euro), Intesa SanPaolo (+1,23% a 2,29 euro), Mediobanca (+2,69% a 7,995 euro) e Unicredit (+1,54% a 6,58 euro).
Ben comprata Finmeccanica (+2,83% a 7,25 euro) all´indomani dei conti del 2013 che hanno evidenziato un utile netto di 74 milioni di euro contro la maxi perdita di 792 milioni registrata nel precedente esercizio. L´Ad Alessandro Pansa ha dichiarato che quello che il gruppo ha fatto negli ultimi nove mesi ha portato significativi benefici nei settori Difesa, Aeronautica ed Elicotteri. Il problema è sempre legato ad AnsaldoBreda. Pansa ha fato notare che sotto la sua gestione il titolo in Borsa ha registrato un balzo del 66,5%. Tra i peggiori di seduta, invece, le performance di A2A e Mediaset: la multiutility lombarda ha perso il 2,19% a 0,979 euro, mentre il gruppo di Cologno Monzese ha lasciato sul parterre l´1,48% a 3,99 euro.
Debole Telecom Italia (-0,84% a 0,823 euro) all´indomani dell´apertura ufficiale della sfida Giuseppe Recchi-Vito Gamberale per la presidenza del colosso tlc. L´esito si saprà il prossimo 16 aprile, quando verrà convocata l´assemblea chiamata al rinnovo del Consiglio. L´attuale presidente di Eni è il candidato della lista Telco, in cui figurano tra gli altri anche l´Ad di Telecom Marco Patuano e l´Ad di Terna Flavio Cattaneo. Di contro la lista Findim, che propone come presidente il nome di Gamberale. Per gli analisti di Credit Suisse la notizia di una prossima uscita di Generali da Telco, oltre alla vendite delle azioni detenute in Telecom Italia, aggiunge un nuovo grado di incertezza al processo di vendita in Brasile.
Finanzaonline
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