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SINTESI DELLA GIORNATA FINANZIARIA DEL 17 MARZO 2014



Piazza Affari ha chiuso in deciso rialzo aumentando i guadagni dopo l’avvio tonico di Wall Street. All’indomani del referendum in Crimea, che ha visto la schiacciante vittoria del “sì” all’annessione alla Russia, sono arrivate le prime sanzioni contro la Russia da parte di Stati Uniti e Unione Europea. Sanzioni giudicate “soft” dagli investitori e per questo il mercato ha reagito positivamente. Gli Stati Uniti hanno applicato misure restrittive contro 11 individui, tra cui due collaboratori di Vladimir Putin. Misure che prevedono il divieto di viaggio e il congelamento di asset detenuti negli States. Le stesse misure sono state adottate da Bruxelles ma gli individui colpiti sono ventuno. A sostenere i listini anche la produzione industriale statunitense di febbraio, salita dello 0,6% contro attese che indicavano +0,2%. In questo quadro a Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha guadagnato il 2,52% a 20.858 punti.

Seduta brillante per Finmeccanica (+6,25% a 6,96 euro) in attesa dei conti del 2013 che verranno pubblicati mercoledì 19 marzo. Il risiko nel mondo delle tlc europee ha invece scaldato Telecom Italia (+3,91% a 0,823 euro). Questa mattina Vodafone ha rilevato la spagnola Ono per una cifra pari a 7,2 miliardi di euro (incluso il debito). Sull’indice Ftse Mib ha svettato A2A che ha mostrato un balzo del 7,07% a 1,029 euro. Bene anche Unipolsai (+2,77% a 2,518 euro) in scia all’accordo con Allianz per la cessione del portafoglio assicurativo danni del valore di 1,1 miliardi di euro (dati 2013), 729 agenzie e 500 dipendenti dedicati alla gestione di tali attività. La cessione degli asset, facenti parte della ex Milano Assicurazioni, prevede un corrispettivo massimo di 440 milioni di euro. Tra le banche gli acquisti sono stati sostenuti su Unicredit (+5,51% a 6,50 euro) con l’indiscrezione del Financial Times secondo cui piazza Cordusio starebbe pensando anche all’Ipo di Pioneer Investments, la sua divisione di asset management. Maglia nera Pirelli (-2,24% a 11,77 euro) con Rosneft che è entrata nel capitale della Biccocca, mentre dall’azionariato è uscito il fondo Clessidra.
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VODAFONE COMPRA LA SPAGNOLA ONO
Risiko nel mondo delle tlc europee. La settimana è iniziata con l'ufficializzazione da parte di Vodafone dell’acquisizione della spagnola Ono per una cifra pari a 7,2 miliardi di euro (incluso il debito). Una mossa che permetterà a Vodafone di espandere la gamma di servizi e prodotti offerti, in particolare nella banda larga. Positiva la reazione del titolo Vodafone che guadagna oltre l'1% sulla Borsa di Londra.
Secondo quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, l'acquisizione dovrebbe generare un risparmio di circa 2 miliardi e sinergie di ricavi da 1 miliardo. Il colosso britannico delle tlc finanzierà l'operazione in contanti. Il closing della transazione è atteso entro il terzo trimestre del 2014.
"Vodafone vede una significativa opportunità per accelerare la crescita nei prodotti e servizi di comunicazione unificata, sfruttando le sue capacità di distribuzione e di marketing". "La combinazione di Vodafone e Ono crea un fornitore leader nei servizi di comunicazione integrata in Spagna e rappresenta un'interessante opportunità di creazione di valore per Vodafone - ha dichiarato Vittorio Colao, numero uno di Vodafone - La domanda di prodotti e servizi di comunicazione unificata è aumentata notevolmente negli ultimi anni in Spagna, e questa transazione, insieme al nostro programma di costruzione fiber-to-the-home, accelererà la nostra capacità di offrire proposte best-in-class nel mercato spagnolo".
Ono, una delle principali reti in fibra ottica e di nuova generazione in Spagna, conta 1,9 milioni di clienti e copre 13 delle 17 regioni spagnole. Nel 2013, l'azienda iberica ha mostrato una perdita prima delle imposte di 41 milioni e un giro d'affari complessivo di 1,59 miliardi di euro. Intanto settimana scorsa gli azionisti di Ono hanno presentato il progetto di quotazione sulla Borsa di Madrid.
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PIRELLI: IL PUNTO SULLA SITUAZIONE
Unicredit, Intesa SanPaolo, Clessidra e Nuove Partecipazioni hanno raggiunto un accordo di massima con Rosneft per la realizzazione di un’operazione che prevede da un lato l’uscita da parte di Unicredit, Intesa e Clessidra dalla partnership esistente in Lauro61/Camfin e il parziale reinvestimento da parte delle due banche in una nuova partnership, anche tramite la costituzione di un apposito veicolo in cui Rosneft avrà il 50% e il restante 50% sarà detenuto da una newco composta da Nuove Partecipazioni all’80% e, con una quota del 10% ciascuna, da Unicredit e Intesa. Questa nuova partnership deterrà la partecipazione Pirelli oggi posseduta da Lauro61/Camfin.

Il disinvestimento di Unicredit, Intesa SanPaolo e Clessidra averrebbe valorizzando a 12 euro per azione la partecipazione Pirelli. "L’obiettivo dell’accordo è sviluppare le attività e il business di Pirelli anche rafforzando la rete commerciale in Russia grazie alla capillare presenza sul territorio di Rosneft”, si legge nella nota del gruppo della Bicocca. Già dalla fine del 2012 il colosso russo dell’energia ha definito con Pirelli una serie di intese commerciali e nel settore della ricerca e sviluppo, in particolare nei materiali  per la produzione di pneumatici.

A Piazza Affari il titolo Pirelli lascia sul parterre circa 2 punti percentuali a 11,80 euro. Secondo gli analisti, l’accordo per l’ingresso di Rosneft nel capitale della Bicocca attenua l’appeal speculativo sull’azione. L’accordo prevede che la governance di Pirelli rimanga invariata e incentrata sul ruolo fondamentale di guida del board. Come avviene oggi, le strategie, la definizione del business e il budget del gruppo saranno sottoposte al board dal presidente.
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PIAZZA AFFARI TENTA IL RIMBALZO, OCCHIO ALLA CRIMEA
Dopo una breve incertezza, le Borse europee hanno imboccato la via dei rialzi. L'attenzione del mercato rimane rivolta alla Crimea dove l'esito del referendum ha indicato la preferenza dei cittadini per l'annessione alla Russia. Il risultato potrebbe aumentare le tensioni tra Occidente e Russia, che ha fatto sapere che rispetterà la volontà del popolo della Crimea, e dunque la volatilità sui listini europei. Stati Uniti ed Europa hanno reagito nell'immediato definendo l'esito del referendum illegale. Questa mattina è previsto un vertice europeo che chiamerà a raccolta a Bruxelles i ministri delle Finanze dei Paesi membri per analizzare la situazione in Ucraina e valutare il da farsi verso la Russia. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno già attuato sanzioni di basso livello contro Mosca, come la sospensione dei negoziati sul commercio o sui visti. Tuttavia il mercato si aspetta una soluzione negoziale alla disputa attualmente in atto, una volta che le acque si calmeranno. Né l’Unione Europea né la Russia avrebbero infatti interesse ad entrare in un circolo vizioso di sanzioni economiche imposte l’una contro l’altra, data la profonda interdipendenza economica e politica. Un aspetto cruciale in questa situazione potrebbe essere la posizione della Cina, che finora si è tenuta alla larga.
Già giovedì scorso i Paesi del G7 aveva avvertito che non avrebbero riconosciuto l'esito del referendum in Crimea, minacciando la Russia di ulteriori sanzioni in caso di sostegno alla regione autonoma dell'Ucraina: "se la Federazione Russa compisse tale passo, intraprenderemmo azioni ulteriori, a titolo individuale e collettivo". Sempre settimana scorsa il Parlamento della Crimea aveva adottato la dichiarazione di indipendenza e aveva espresso la volontà di separarsi dal resto del Paese. I deputati della Crimea hanno rivendicato questa volontà appellandosi proprio al diritto internazionale e alle precedenti vicende: "sulla base delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e molti altri strumenti internazionali che riconoscono il diritto dei popoli all'autodeterminazione, nonché tenendo conto del sostegno da parte della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo del 22 luglio 2010", si legge nella nota del Parlamento della Crimea.

In questo scenario le Borse europee hanno aperto piatte per poi accelerare il passo in territorio positivo: a Londra l'indice Ftse mostra un progresso dello 0,40%, mentre a Francoforte il Dax sale dello 0,70% così come il Cac40 di Parigi. A Piazza Affari l’indice Ftse Mib guadagna oltre 1 punto percentuale muovendosi in area 20.500 punti, dopo la debole performance di venerdì. Positiva anche la Borsa di Mosca dove l'indice Micex viaggia a inizio giornata con un progresso di oltre l'1%.
Tra gli appuntamenti macro odierni, attenzione rivolta alla lettura finale dell'inflazione nell'Eurozona relativa al mese di febbraio. Il dato dovrebbe attestarsi allo 0,80%. 
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POSSIBILE UNA SPINTA AI CONSUMI CON DETRAZIONE IRPEF?
Le buste paga più pesanti dal prossimo mese di maggio per circa 10 milioni di italiani permetteranno un primo rilancio dei consumi soprattutto per settori chiave quali l'alimentare, il trasporto e l'abbigliamento.  
I lavoratori dipendenti italiani con un reddito inferiore ai 25.000 euro, secondo quanto stimato dalla CGIA, destineranno quasi 9 miliardi dei 10 miliardi complessivi di detrazioni per fare nuovi acquisti. La stima si basa sull'analisi dei dati relativi alla propensione media al consumo delle famiglie degli operai e degli impiegati che beneficeranno dei tagli dell’Irpef.
Pertanto se le famiglie interessate dalla sforbiciata dell’Irpef manterranno una propensione al consumo media individuata sulla base dell’ultima indagine campionaria che, secondo la Banca d’Italia, è pari all’88,6%, dei 10 miliardi in più che questi italiani riceveranno in busta paga, 8,86 saranno spesi  per fare nuovi acquisti, mentre i restanti 1,14 miliardi verranno risparmiati.    
Alimentari e bevande prima di tutto, ma anche trasporti e abbigliamento
Dove si dirigeranno questi quasi 9 miliardi? "Innanzitutto gli alimentari e le bevande – fa sapere il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi - . La spesa per questo settore aumenterà di oltre 2,3 miliardi di euro. Altri 2 miliardi interesseranno i trasporti e quasi 1,3 miliardi  gli altri beni e servizi che includono gli acquisti dei prodotti e dei servizi per la cura della persona, i pasti fuori casa, alberghi, etc. L’abbigliamento e le calzature registreranno un aumento pari a 670 milioni, mentre i mobili e gli elettrodomestici per la casa un incremento di 588 milioni di euro”. 
Da maggiori consumi spinta decisiva al Pil
I consumi delle famiglie rappresentano la principale componente del nostro Pil. Nel 2013 i consumi hanno rappresentato il 60 per cento della ricchezza prodotta in Italia (935 miliardi di euro correnti a fronte di un Pil di 1.560 miliardi di euro correnti).
Dall’inizio della crisi alla fine del 2013, spiega la Cgia, i consumi delle famiglie italiane al netto dell’inflazione sono crollati del 7,6 per cento. Ciò vuol dire che la spesa, in valore assoluto, è diminuita di 66,5 miliardi di euro. A subire la contrazione più forte sono stati i beni durevoli: tra il 2007 e il 2013 la contrazione è stata del 28,1 per cento. "Renzi – conclude Bortolussi - ha fatto bene a lasciare più soldi in tasca ai redditi più bassi. Solo rilanciando la domanda interna abbiamo la possibilità far ripartire la nostra economia, aiutando anche i lavoratori autonomi, gli artigiani, i commercianti e i piccoli imprenditori che vivono quasi esclusivamente dei consumi dei territori in cui operano”.  

Finanza.com

PENSIONI: UN MILIONE DI ASSEGNI A RISCHIO
Pensioni, il prelievo ci sarà oppure no? Mentre il premier, nei giorni scorsi, il premier Renzi ha cercato di rassicurare tutti gli iscritti alla gestione previdenziale, che si erano visti al centro dei possibili canali di finanziamento delle riforme, prende strada l’ipotesi di un nuovo salasso su un milione di pensionati.
Cosa corre, allora, tra la sicurezza del premier e le esigenze di bilancio? Sostanzialmente, il destino della manovra è nella soglia in cui verrà richiesto questo contributo extra, imposto a chi percepisce una pensione.
In principio, infatti, era ventilata l’ipotesi che gli assegni sottoposti a una decurtazione straordinaria subito dopo il Jobs Act sarebbero stati quelli al di sotto dei 2mila euro lordi, dunque una frazione amplissima della popolazione dei ritirati dal lavoro in Italia, vicina al 50%.
Quindi, per evitare il divampare di ulteriori polemiche, era intervenuto direttamente il presidente del Consiglio a confermare come, al di sotto dei 3mila euro lordi, non ci sarebbe stato alcun rischio di riduzione dell’assegno mensile. Una posizione, poi, ribadita dal sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta e che, se confermata, andrebbe a intaccare circa mezzo milione di pensioni.
Una posizione, però, parzialmente smentita dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli, il quale, in sede di enunciazione delle possibili coperture per il Jobs Act, ha accennato alla possibilità di intervenire sulle pensioni a partire dalla quota dei 2mila e 800 euro al mese, forse addirittura ai 2mila e 500 euro.
In quest’ultimo caso, la platea interessata sarebbe ben superiore al milione di pensionati, che vedrebbero il proprio assegno ulteriormente ridotto. Con i più ricchi, cioè coloro che percepiscono 6mila e 900 euro in su, che sarebbero chiamati a un nuovo contributo dopo l’aliquota al 6% decisa in legge di stabilità.
Insomma, la partita è tutta qui: se toccare esclusivamente le pensioni d’oro, oppure coinvolgere anche quelle “d’argento” e “di bronzo”. A seconda della soglia che verrà definita per pompare risorse fresche nelle casse pubbliche rivolte alle misure del Jobs Act, il numero dei potenziali coinvolti crescerà o diminuirà sensibilmente.
Finanzainchiaro

CARO EURO: CHI NE FA LE SPESE E CHI NE BENEFICIA
La corsa dell'euro penalizza le società export oriented, ma aumenta le possibilità di merger & acquisition di aziende statunitensi da parte di gruppi italiani”. A parlare è Edoardo Liuni, di Trading Room Roma, che poi aggiunge che “le società più penalizzate sono quelle che hanno produzioni in Italia o Europa, e quindi costi in euro, e ricavi in dollari, come Luxottica, Salvatore Ferragamo e Campari”. Secondo l'esperto, però, “è possibile recuperare il gap dall'attività di copertura cambi. Inoltre, un dollaro basso favorisce i processi di acquisizione da parte delle aziende italiane nei confronti di gruppi statuntensi”.
Tulle quelle società volte all'export extra Ue sono ovviamente penalizzate dall'euro forte”, concorda Vincenzo Longo, strategist di IG, che poi spiega che un euro forte penalizza la richiesta di beni provenienti dall'Europa perchè, a causa di un prezzo più alto, i consumatori di quei Paesi dovrebbero sborsare più soldi per acquistare gli stessi prodotti. Secondo Longo, in primis il comparto più danneggiato è quello del lusso. “A essere penalizzato è tutto il settore in generale, da Ferragamo a Tod's a Luxottica, solo per citare alcuni nomi”, prosegue Longo, che poi aggiunge che anche il comparto manifatturiero, inclusa Fiat, non è immune. “L'Italia - ricorda l'esperto - è il secondo Paese per produzione industriale nell'Europa, quindi in generale l'euro forte è più una minaccia che un'opportunità”.
Il rischio ora è che molte società esposte possano essere costrette a rivedere i propri target. Dai comunicati di bilancio delle principali società esposte si cita più volte il fatto che un cambio euro /dollaro così forte per la moneta unica non favorisce le vendite e quindi non incentiva il miglioramento dei ricavi. “L'importante è che non venga superata quota 1,40, che rappresenta un importante livello psicologico e potrebbe essere il livello al quale si sono coperte le aziende”, prosegue Longo, che poi aggiunge che “oltre questo livello le società potrebbero essere costrette a riverdere le stime dei prossimi anni”.
Intanto proprio oggi, gli analisti di Credit Suisse hanno tagliato il target price su Salvatore Ferragamo da 24 a 21 euro, confermando il giudizio underperform, in scia alla revisione al ribasso delle stime di profitto (stima Eps 2014-2016 ridotta del 4%). Secondo il broker svizzero, nel breve termine persistono dei rischi sulla crescita della società, come un più difficile scenario per il lusso negli Usa e in Cina e un budget di marketing sotto stretto controllo. Inoltre, il gruppo potrebbe conoscere quest'anno la più bassa crescita dell'Ebitda dall'Ipo."La crescita dell'Ebitda potrebbe registrare il ritmo più basso dai tempi dell'Ipo”, sostengono gli analisti, che stimano un +10% nel 2014.
A fronte però di società penalizzate dal caro euro, ce ne sono altre che sono avvantaggiate. “Analizzando il risvolto positivo, sono avvantaggiate tutte quelle aziende legate al settore del turismo, come per esempio, Autogrill e World Duti Free”, commenta Longo. Che poi interpellato sulla possibiltà che prenda corpo l'ipotesi di un intervento della Bce sui mercati valutari, per indebolire la moneta comune e ridare fiato alle esportazioni dell'eurozona, conclude dicendo: “Riteniamo che le dichiarazioni di Draghi di giovedì scorso abbiano avuto un effetto solamente temporaneo sul cross. La Bce deve intervenire in maniera efficace sui mercati se vuole ridurre le pressioni rialziste sul cambio”.
Professionefinanza

PIAZZA AFFARI: TITOLI NEL MIRINO
Partenza positiva a Piazza Affari, dove l'attenzione è concentrata ancora su Unicredit, Pirelli, Telecom, Saipem, Cementir e Risanamento. Ecco, secondo la rassegna Reuters, i principali possibili movimenti attesi.

Unicredit. Il titolo potrebbe reagire in scia alla notizia che BlackRock ha incrementato la sua quota diventando il primo azionista della banca. Secondo il Financial Times, la banca vuole quotare in borsa o vendere Pioneer Investments, che ha una valorizzazione stimanta tra i 2 e i 3 miliardi.

Intesa. Titolo ancora sugli scudi. Il Messaggero di domenica anticipa il piano della banca che prevede un polo del risparmio con la possibile integrazione tra Fideuram e il private banking e un'ulteriore riduione di filiali.

Telecom. Titolo ancora sotto i riflettori. L'ad Marco Patuano ha detto che diversi investitori istituzionali sono tornati ad acquistare azioni Telecom Italia e non stupisce che invece Generali sia intenzionata a uscire da Telco, holding che detiene la quota di riferimento del gruppo. L'AD prevede inoltre che, alla prossima assemblea per il rinnovo del consiglio, le diverse posizioni finiscano per ricompattarsi. Intanto, la società ha raccolto adesioni per 614,9 milioni per l'offerta di riacquisto di bond e intende portare l'obiettivo a 598,9 milioni, di cui 142,2 per titoli scadenza marzo 2016. Intanto, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha chiesto un incontro al commissario governativo sull'agenda digitale Francesco Caio da tenersi entro marzo, scrivono i giornali. Secondo di giornali di sabato poi Telecom ha ricevuto cause miliardarie da Fastweb e Vodafone ha detto l'AD Marco Patuano. Infine, Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha detto in un'intervista, al Sole24Ore di domenica, che il governo prevederà incentivi per chi investe nella banda larga.

Mps. Il titolo resta uno di quelli ancora sotto i riflettori. La questione principale che si pone alle banche italiane in tema di bad bank è il prezzo al quale i crediti deteriorati verrebbero ceduti, secondo il presidente Alessandro Profumo.

Generali. Il titolo potrebbe reagire alla notizia del Sole di domenica che scrive che Julius Baer torna a valutare la controllata del gruppo Generali Bsi, e che c'è interesse anche da parte di altri soggetti esteri.

Unipol. Il titolo potrebbe muoversi in scia alla notizia che la società ha raggiunto un accordo per cedere attività ad Allianz per 440 milioni.

Pirelli. Il titolo potrebbe essere influenzato dalla notizia che Unicredit, Intesa Sanpaolo, Clessidra e Nuove Partecipazioni hanno raggiunto un accordo di massima con Rosneft per il suo ingresso nel capitale del gruppo di pneumatici, che lo valorizza 12 euro per azione.

Saipem. Il titolo potrebbe beneficiare della notizia che la società si è assicurata con Gazprom accordi per 2 miliardi di euro che prevedono la costruzione del primo tratto del gasdotto sottomarino South Stream.

A2A. Chiude il 2013 con un utile netto contabile di 62 milioni, dopo svalutazioni di asset termoelettrici per 267 milioni, da un utile di 260 milioni nel 2012. Il Cda proporrà una cedola a 0,033 da 0,026 euro. Intanto si è appreso che la società vuole avere un ruolo di primo piano nel futuro consolidamento del settore delle utility in Italia. A dirlo è il direttore generale della multiservizi lombarda, Renato Ravanelli, nel corso di una conference call con la stampa sui risultati 2013.

Acea. Il titolo potrebbe muoversi in scia alle parole dell'AD Paolo Gallo che in un'intervista al Corriere della Sera di domenica ha detto che gruppo è pronto a crescere nel settore dell'acqua e del trattamento dei rifiuti.

Parmalat. Sofil Sas, controllata dalla famiglia Besnier, il 3 il 4 febbraio ha acquistato 1,8 milioni di azioni a 2,46 euro per azione per 4,4 milioni, pari allo 0,1% circa del capitale, secondo un internal dealing. Intanto il Corriere di domenica ha scritto che la Consob sta vigilando sulla governance del gruppo.

Credem. Ha chiuso il 2013 con un utile netto di 115,9 milioni di euro, in calo del 4,4% per un effetto fiscale non ricorrente e conferma il dividendo a 0,12 euro per azione.

Banca Carige. Il titolo resta ancora sotto i riflettori dopo la notizia che la Fondazione Carige nel mese di febbraio ha ceduto azioni pari allo 0,88% circa del capitale. E' quanto emerge da una comunicazione di internal dealing di Borsa Italiana.

Sorin. Titolo in luce a Piazza Affari dopo la notizia che la società prevede un aumento dei ricavi compreso tra lo zero e il 2% nel primo trimestre del 2014, rispetto allo stesso periodo del 2013. Intanto, si è appreso che ha acquisito l'attività relativa agli elettrocateteri di Oscor Inc., incluso un impianto di produzione nella Repubblica Dominicana, per un valore complessivo di circa 20 milioni di dollari (15,4 milioni di euro).

Cementir. Titolo sugli scudi. La società sta valutando concrete opportunità di espansione delle sue attività nel Far East che dovrebbero maturare nei prossimi 12 mesi, per consolidare la sua leadership mondiale nel cemento bianco. Lo ha detto il presidente e Ad Francesco Caltagirone jr in un'intervista a Reuters.

Risanamento. Il titolo potrebbe muovesi in scia alla notizia che il cda ha deciso di portare avanti la vendita degli immobili di Parigi a Chelsfield/The Olayan Group, già deliberata il 23 gennaio scorso, e vede entro maggio il closing dell'operazione.

Banca Finnat. Ha chiuso il 2013 con un utile netto di 4,8 milioni euro dai precedenti 5,6 milioni e con una proposta di dividendo invariato a 0,010 euro per azione. Il Cda ha approvato il piano 2014-17 che vede a fine periodo ricavi attesi prossimi a 48 milioni e un utile netto consolidato superiore ai 6,5 milioni di Euro. Secondo il piano, il Tier 1 ratio sarà in grado di mantenersi su livelli medi superiori al 30% per tutto il periodo.

Ima. Il titolo potrebbe muoversi in scia alla notizia che ha chiuso il 2013 con utile netto a 51,5 milioni in rialzo dell'8% rispetto al 2012 e che proporrà una cedola di 1,25 euro da 1 euro dello scorso anno.

Ikf. Ha presentato un'offerta vincolante per le attivitè industriali del gruppo di abbigliamento Ittierre all'attuale proprietà e al Tribunale.

Mutui online. Il titolo potrebbe reagire alla notizia che ha chiuso il 2013 con un utile netto di 3,5 milioni, in crescita del 3,1% rispetto all'esercizio 2012.

Cir. Titolo sugli scudi. Oggi sono previsti incontri tra le banche creditrici e il cda di Sorgenia, che probabilmente non saranno decisivi, scrive il Sole24Ore.
Professionefinanza


SANZIONI ALLA RUSSIA, COSA RISCHIAMO TUTTI
Il referendum in Crimea ha visto la vittoria (scontata) dei sì alla secessione dall’Ucraina e all’annessione alla Russia con il 96,6% dei votanti, pari a 1,2 milioni di persone. Adesso, gli USA e il resto dell’Occidente non potranno più stare a guardare e quasi certamente adotteranno sanzioni contro Mosca. 
La questione non sembra più essere sul “se”, bensì su “quali”. Chi punire per la prova di forza del presidente Vladimir Putin? Il tema è molto delicato, perché sanzioni improvvide e poco studiate potrebbero danneggiare anche altri paesi, in particolare, quelli dell’Unione Europea.
 Alcuni numeri
La Russia rappresenta il terzo mercato di sbocco per le esportazioni europee, pari a 230 miliardi di euro, mentre la UE importa dalla Russia 150 miliardi. In altri termini, le nostre esportazioni nette sono verso Mosca di 80 miliardi all’anno. L’Italia è al quinto posto per la Russia, che esporta verso il nostro paese 32,6 miliardi e importa 13,4 miliardi.
Essenzialmente, dalla Russia importiamo petrolio e gas. Quest’ultimo pesa per il 30% del nostro fabbisogno, ma la quota sale al 35% in Germania, che si è guardata bene, in effetti, di calcare la mano contro Putin, limitandosi ad avvertire Mosca su possibili sanzioni, solo qualche giorno fa, a ridosso del referendum di ieri. Altri, come la Polonia, dipendono dal gas russo per il 70%; la Bulgaria per il 100%.
Attenzione, però, a pensare che sia solo l’Europa a dipendere dalla Russia. Quest’ultima lega il 60% delle sue entrate alla vendita di gas e petrolio, per cui nemmeno Putin potrebbe permettersi un blocco delle esportazioni dei beni energetici.
E nel breve periodo, esistono altri gasdotti che potrebbero del tutto attutire la mancanza del gas russo, anche grazie alla sovrapproduzione a livello mondiale. Trattasi di quelli dalla Norvegia, dall’Olanda, dall’Algeria e dal Qatar. Le conseguenze, semmai, potrebbero essere visibili nel lungo termine, visto che una perfetta sostituzione del gas dalla Russia si potrebbe avere in Europa solo nel 2020, stando alle analisi di queste settimane.
Quali sanzioni?
Per questo, le sanzioni potrebbero limitarsi a colpire gli oligarchi e le autorità politiche e militari, che hanno sostenuto l’indipendenza della Crimea. Nel primo caso, ossia se si colpissero gli oligarchi, congelando i loro conti all’estero e i loro affari e negando loro il visto d’ingresso, per l’Italia ci sarebbero conseguenze spiacevoli, essendo attive nel nostro paese società russe come Severstall, RusAl, Evraz, Novoliptesk, Lukoil, VimpelCom.
Né gioverebbero all’Italia e alla Germania le eventuali sanzioni alla Russia sotto forma di blocco delle esportazioni verso di essa di macchinari ad alto contenuto tecnologico, visto che proprio Roma e Berlino sono tra le maggiori venditrici di questo tipo di beni.
Un altro tipo di sanzioni potrebbe riguardare il divieto imposto alla Russia di accedere a tecnologie militari di fabbricazione occidentale. Anche in questo caso, rischierebbero diverse realtà industriali europee. 
Sullo sfondo resta la sanzione forse più dura e minacciata dall’America un paio di settimane fa, ossia l’embargo contro la finanza russa: nessun istituto americano potrebbe intrattenere rapporti con banche russe e anche gli istituti del resto del pianeta sarebbero esclusi dal circuito finanziario americano, se dovessero continuare ad avere relazioni con le banche di Mosca.
La Germania è contraria a quest’ultima ipotesi, perché comprometterebbe la stabilità finanziaria della Russia e dei suoi partner commerciali. Tra le banche più esposte figura anche Unicredit. Non solo: Mosca potrebbe reagire con una controffensiva già vociferata in queste settimane, ossia non effettuando più transazioni in dollari, vendendo le sue riserve di dollari e gli stessi Treasuries in suo possesso. 
Certo, il raggio di azione di Putin è limitato: il suo debito estero ammonta al 22% del pil, mentre sarebbe più lui a subire i contraccolpi della crisi geo-finanziaria, non certo l’America. E Goldman Sachs ha già previsto al ribasso dal 3% all’1% il tasso di crescita del pil russo per quest’anno.  
di Giuseppe Timpone
Investireoggi


PERCHE’ E’ SCELLERATA LA TASSAZIONE DEI RISPARMI

A proposito dell’annunciato aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, siamo stati quasi preveggenti.
Già in un precedente articolo avevamo ipotizzato che per tagliare del 10% l’Irap, considerati gli ordini di grandezza del tutto asimmetrici e inconciliabili, sarebbe stato necessario aumentare del 30% la tassazione sulle rendite finanziarie. Ed ecco giungere, puntuale, la decisione del  Governo che  qualche giorno fa, per bocca del Primo Ministro, ha annunciato esattamente quanto avevamo previsto, precisando che saranno esclusi dall’aumento i titoli di Stato e  i conti deposito, che rimarranno tassati rispettivamente al 12,5 e 20%; mentre le rendite finanziarie derivanti dagli altri tipologie di investimento verranno tassate al 26%.
La scelta del governo appare criticabile sotto molti punti di vista; vediamo quali.
Vi è innanzitutto un questione di iniquità e la scelta del governo contrasterebbe  anche con i principi della Costituzione stabiliti agli articoli 47 e 53.
L’esigenza di assicurare al risparmio una particolare protezione trova diretto riconoscimento nell’art. 47 della Costituzione. La norma ha per oggetto al primo comma il risparmio e il credito (“la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla lesercizio del credito”). Il risparmio costituisce un valore costituzionale che lo Stato deve incoraggiare attivamente e tutelare contro ingiuste riduzioni di ricchezza.  Ne consegue che il risparmio deve essere salvaguardato in tutte le sue forme.  In realtà, ad oggi,  il risparmio sta subendo da parte dello Stato un vera e propria aggressione che, a parer di chi scrive, contrasterebbe con il ruolo fondamentale che lo Stato dovrebbe avere nel promuovere e tutelare il risparmio, avendo, questo, un’indispensabile valore sociale (sul tema leggi anche: “ASSALTO AI RISPARMI” e “VE LO STANNO DICENDO IN TUTTI I MODI“) . Uno Stato, come quello italiano, che tassa i risparmi a livelli altissimi, con le modalità distruttive poste in essere, viene meno agli obblighi imposti dalla Costituzione, che attribuiscono alla  Repubblica il dovere di incoraggiare e tutelare il risparmio. 
Veniamo all’articolo 53 della Costituzione, a parer di chi scrive, anch’esso violato dal sistema impositivo che grava sui risparmi.
Viene sancito che:
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”
Criteri di progressività, quindi. Inesistenti nell’ambito della tassazione del risparmio. Anzi, ad essere precisi, la volontà del governo di voler aumentare al 26% l’imposizione fiscale sulle rendite derivanti da alcune tipologie di investimento, oltre che accrescere le distorsioni che vedremo tra breve, amplifica l’asimmetria rispetto al dettato costituzionale.

Un piccolo esempio potrà chiarire questo aspetto.
Come noto i risparmi scontano due tipologie di imposte (ci sarebbe anche la Tobin Tax e l’Ivafe, ma lasciamo stare). La prima è l’imposta di bollo (patrimoniale) dello 0,20% strutturale che grava annualmente sul patrimonio mobiliare posseduto. Questa imposta, assai invasiva, non ha alcun carattere di progressività. La progressività è inesistente anche per l’altra imposta che grava sugli interessi e sui capital gain, che è l’Imposta sostitutiva. Questa è prevista al 12,5% per i titoli di stato e per i buoni postali;  mentre è al 20%  per i conti deposito e per tutte le altre tipologie di investimento (obbligazioni, azioni, fondi ecc). Come dicevamo in aperture, quest’ultima  imposta, stando a quanto annunciato dal Primo Ministro qualche giorno fa, dovrebbe essere aumentata al 26%, riconoscendo, tuttavia, un carattere privilegiato ai conti deposito che rimarrebbero tassati al 20% (?). Questo trattamento di favore riconosciuto ai conti deposito sembrerebbe essere stato confermato anche dal Ministro Padoan, anche se qualche sospetto rimane, per i motivi che a breve analizzeremo.

Arrivati a questo punto, immaginiamo di disporre di un piccolo risparmio, ad esempio 20 mila euro, investiti  in un  obbligazione che rende il 2% annuo. A fine anno si sarà riscossa una cedola annua lorda di 400 euro. Ma alla fine della fiera, tra imposta di bollo (0,2% su 20 mila = 40 euro) e ritenuta fiscale sugli interessi (26% su 400 euro= 104), rimangono appena 256 euro. Quindi si subisce una tassazione del 36%. Tantissimo!

Se invece si dispone di  un milione di euro investiti sui BTP che rendono il 4%, a fine anno ci si porta a casa 40.000 euro lordi. A questo importo va tolto lo 0,2% di imposta di bollo sul patrimonio (2000 euro) e la ritenuta fiscale del 12,5% sugli interessi (altri 5000 euro). Quindi rimangono in tasca 33000 euro netti. Per cui si  subisce una tassazione di appena il 17,5%, contro il 36% del caso precedente. Cioè 20 punti meno.

Come potete osservare, nel caso portato ad esempio, non esiste alcuna progressività di imposizione, tant’è che chi dispone di un piccolo risparmio, sconta un imposizione fiscale percentualmente superiore rispetto a chi dispone di un patrimonio considerevole. Questo è reso possibile perché entrambe le imposte che gravano sui risparmi non assolvono a criteri di progressività, peraltro costituzionalmente previsti. C’è da dire che ad aggravare la disparità di trattamento subentra anche il trattamento fiscale agevolato (12,5%) previsto per i titoli di stato e per i buoni postali.

Il tema che la sinistra italiana offre in pasto al proprio elettorato è quello secondo il quale sarebbe giusto tassare il risparmio al fine di recuperare risorse da destinare alla riduzione del costo del lavoro. Cosa peraltro non vera, visti gli ordini di grandezza del tutto inconciliabili. Infatti, il gettito prodotto dalla tassazione dei redditi di lavoro dipendente ammonta a circa 90 miliardi di euro annui; mentre quello derivante dalla tassazione delle rendite è poco più di 11 miliardi di euro. Grandezze assolutamente inconciliabili.
Già in un precedente articolo avevamo dimostrato che il risparmio è già ampiamente più tassato rispetto ai redditi di lavoro dipendente. In questo modo, contrariamente a quello che la sinistra intenderebbe fare, attribuendo dei privilegi fiscali discriminatori a talune categorie di investimento e in mancanza di una riforma complessiva sul trattamento fiscale delle rendite finanziarie, si amplifica la disparità di trattamento e si accresce la disuguaglianza tra i percipienti di grandi rendite finanziarie e i piccoli risparmiatori. 

Come si sarebbe potuto superare questo sistema impositivo? Sarebbe stato sufficiente tassare queste tipologie di reddito attraverso la dichiarazione dei redditi, con un sistema impositivo progressivo ad aliquota marginale. Ma, a parer di chi scrive, in maniera separa rispetto all’irpef, al fine di evitare il cumulo dei redditi. Anche perché, essendo il risparmio accumulato in età lavorativa, è evidente che i flussi reddituali che lo hanno determinato hanno già scontato un’imposizione fiscale tutt’altro che leggera.
In questo modo si sarebbe potuto creare un sistema impositivo non discriminatorio al punto  da poter evitare trattamenti fiscali di favore per talune tipologie di investimento, una maggiore equità e certamente sarebbe stato più aderente allo spirito del dettato costituzionale.

Ad aggravare la situazione sopra descritta interviene anche un ulteriore aspetto di non poco conto e assai distorsivo.
Ossia che lo Stato, attribuendo un privilegio alle rendite derivanti dall’investimento in titoli di stato - che si sostanzia  in un livello di tassazione più agevolato e discriminatorio- si pone in competizione  con il mercato in modo arrogante, ingiusto  e distruttivo.  Ingiusto perché, in questo modo, è evidente che intenda attrarre i risparmiatori nell’investimento in titoli di Stato, grazie ad un abuso di posizione dominante e alla sua autorità  che gli consente di attribuire ai titoli di Stato un trattamento fiscale di favore; distruttivo perché, ponendosi in concorrenza (sleale) con altre tipologie di investimento, non fa altro che distrarre masse di risparmio da quei soggetti deputati al finanziamento alle imprese e famiglie.
Ecco che le banche, al fine di raccogliere denaro da prestare successivamente a famiglie ed imprese, dovranno arginare la concorrenza esercita dallo Stato offrendo rendimenti maggiori ai risparmiatori, al fine di riequilibrare la convenienza nell’investimento in obbligazioni bancarie, compressa da fattori fiscali discriminatori. Quindi un maggior costo della raccolta per il sistema bancario, che verrà ribaltato su imprese e famiglie.
 L’arroganza che lo Stato esprime attraverso questo modus operandi è reso ancor più grave se si considera il credit crunch di cui è vittima ormai da diversi anni il sistema economico italiano, che rischia di aggravarsi.
Vi sono, poi, ulteriori fattori che inducono a ritenere che la scelta di aumentare la tassazione su talune tipologie di rendite finanziarie, sia una scelta censurabile e scellerata. 
In questi anni di crisi il risparmio è stato anche un grande ammortizzatore sociale, esente da costi per il contribuente. Chi ha perso il lavoro o chi ha visto diminuire il reddito per effetto della crisi, magari ha potuto sopperire o integrare -almeno parzialmente- il reddito venuto meno proprio attingendo al risparmio, o agli interessi percepiti. Aumentando la tassazione non si fa altro che comprimere ulteriormente  la possibilità di spesa delle famiglie. Meno reddito, corrisponde minore possibilità di spesa.

Senza trascurare poi il fatto che l’intenzione del governo sarebbe quella di aumentare la tassazione sulle rendite al fine di recuperare risorse per abbattere strutturalmente (si spera) l’Irap sulle imprese di circa 2,5 miliardi di euro. 
Al netto del fatto che si sarebbero potute recuperare risorse ben più significative incidendo sull’enorme massa di sussidi erogati alle imprese  in modo inopportuno -per lo più per garantire privilegi a consorterie di potere,  politiche e ad interessi lobbistici- rimane il fatto, non del tutto trascurabile, che il gettito derivante da questo tipo di imposizioni è assai variabile ed aleatorio. Basta che i mercati scendano anziché salire, ed ecco che il gettito si contrae anziché aumentare. E questo è uno dei motivi per i quali sono abbastanza scettico sul fatto che non ritocchino (al rialzo) anche la tassazione sui conti deposito. Il gettito derivante da questo tipo di imposizione, è evidente, offre un gettito strutturalmente più stabile, idoneo a sopperire la contrazione degli incassi in momenti di mercati sfavorevoli. In buona sostanza, costituirebbe un cuscinetto di riserva aggiuntivo.
Bisognerebbe anche aggiungere che la tassazione di favore riconosciuta sia ai titoli di Stato che ai buoni postali emessi dalla Cassa Depositi e Prestitti, potrebbe celare insidie non del tutto note alla maggior parte dei risparmiatori. Infatti, già da gennaio 2013, i titoli di debito  che lo stato emette con scadenza superiore ai 12 mesi, vengono emessi in vigenza delle Clausole di Azione Collettiva, che consentono allo Stato Italiano di modificare le caratteristiche dell’emissione (sul tema leggi: “L’ITALIA PUO’ FALLIRE, ORA ANCHE PER LEGGE“) Ad esempio, per effetto delle CAC, lo Stato italiano potrebbe modificare gli interessi corrisposti, la scadenza del titolo (differendola) o addirittura decurtare il capitale. E’ evidente che esercitare nei confronti dei risparmiatori retail forme incentivanti l’investimenti proposto (quale, appunto,  un minor onere fiscale), senza peraltro rendere edotto il risparmiatore sulle possibili conseguenze in caso di ristrutturazione del debito pubblico, assume i contorni di una vera e propria aggressione al risparmio e alla buonafede della maggior parte dei risparmiatori. Tanto più se si considera che, nel corso degli ultimi anni, le possibilità che si giunga a qualche forma di ristrutturazione del debito pubblico (infliggendo perdite in capo ai risparmiatori) sono aumentate in modo  esponenziale.
Paolo Cardenà per Rischiocalcolato


LA STAMPA TEDESCA: RENZI VUOLE FARE ALTRI DEBITI
BERLINO (WSI) - «Il premier italiano provoca Merkel con l’anti-rigore». È questo il titolo di Die Welt, sulla bilaterale di oggi a Berlino fra il premier italiano e la cancelliera. «Renzi vuol fare altri debiti e spingere fino ai limiti del trattato di Maastricht», si legge nel sottotitolo. Il «punto delicato» della visita di insediamento del premier, consiste nel fatto che voglia «finanziare il suo programma congiunturale coi debiti»: una «dichiarazione di guerra alla politica europea tredesca». Per fare questo «ha bisogno dell’autorizzazione di Berlino e Bruxelles.

Otterrà il semaforo verde dalla cancelliera?», è la domanda. Sottolineando che Renzi è il premier «più giovane» della storia italiana, Welt lo descrive come «deciso, spesso irriverente e anche temerario». Un «outsider» rispetto a Mario Monti ed Enrico Letta, che si sono attenuti «alle prescrizioni europee».

«Lo schock Renzi fa scattare l’allarme a Berlino, Francoforte e alla Bce», prosegue. Voler finanziare col deficit le promesse fatte agli italiani è «manovra rischiosa» secondo il giornale, che rammenta che il debito pubblico italiano sia già al 133% del pil. Anche il Tagesspiegel dedica un lungo articolo alla bilaterale di oggi: «Cari saluti da Firenze», titola.

Il quotidiano scrive che certamente alla cancelliera piacerà il regalo di Renzi, e cioè la maglietta firmata da Mario Gomez. «Altri regali potrebbero essere invece accolti con scetticismo», scrive. Tuttavia, è la constatazione, in vista del test delle europee, «Renzi ha bisogno di un’accoglienza calda a Berlino».

Non ha né la statura dell’economista di fama come Mario Monti, che debuttò da premier in Europa ricevuto in pompa magna a Bruxelles da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, né l’expertise di Enrico Letta che a 32 anni era già ministro per le Politiche comunitarie. A differenza dei suoi due predecessori, però, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha il comando del Partito democratico, che governa a briglia molto stretta, gode di un significativo sostegno popolare e ha fama di pragmatico e decisionista. A Roma come a Berlino, gli osservatori si chiedono se questa dote tutta politica basterà all’ex sindaco di Firenze per convincere la leader più pragmatica d’Europa, Angela Merkel, della bontà dei propri piani fiscali per far ripartire la corsa dell’Italia. La tre volte cancelliera tedesca non ha alcun pregiudizio contro il giovane premier italiano. Anzi, intuita l’inarrestabilità della sua corsa da Firenze a Roma, fu lei a volerlo conoscere lo scorso luglio. È vero però che al di là della simpatia umana, Renzi vuole dare ossigeno al Belpaese allargando la cintura del deficit per riportarlo dal 2,6% verso la soglia limite del 3% del Pil. Un’operazione di segno opposto a quelle fin qua sostenute in Europa da Frau Merkel e dal suo arcigno ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble.

Gli ottimisti però non mancano. "Durante la campagne per le primarie Renzi aveva chiamato il patto di stabilità ‘patto di stupidità’ e diceva che in cambio di riforme strutturali l’Italia avrebbe anche potuto sfondare il tetto del 3 per cento", ricorda al VELINO Michael Braun, direttore della rappresentanza italiana della Fondazione Friedrich Ebert, storico pensatoio legato alla SPD tedesca e intitolato al primo presidente socialdemocratico eletto democraticamente agli albori della Repubblica di Weimar. "Oggi i toni di Renzi sono diversi e Berlino ha preso atto del cambio di registro. Ecco perché – riprende Braun – credo che si troverà un punto di incontro soprattutto con il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel. Al pari dei socialdemocratici tedeschi, Renzi non vuole mandare i parametri europei al macero ma solo evitare di usarli come una camicia di forza".

La presenza importante dell’Spd nel governo di grosse Koalition dovrebbe quindi aiutare Renzi nella sua missione. Eppure in molti negli ultimi mesi hanno criticato il primo partito della sinistra tedesca per aver abbandonato il tradizionale fervore europeista. "È vero che l’Spd è stata molto tiepida sull’Europa prima delle legislative nel 2013 ed è tiepida oggi in vista delle Europee", riconosce Braun. "La parola ‘eurobond’ è sparita dal loro vocabolario ma anche Martin Schultz (il candidato Spd alla guida della Commissione, ndr) sa che il nodo andrà affrontato: oggi come oggi, però, il tema non è spendibile. Da un lato gli stessi elettori tedeschi di sinistra riconoscono a Merkel la capacità di difendere bene gli interessi della Germania sul piano europeo; dall’altro, stiamo assistendo a una corsa degli euroscettici in tutto il Continente. Alba Dorata, Tzipras e i Cinque stelle preoccupano Berlino". Anche nella Repubblica federale non mancano voci contro la moneta comune, a cominciare da Alternative für Deutschland, il partito che vuole abolire l’euro e che i sondaggisti accreditano dell’8%. "Ecco perché – conclude Braun – sono abbastanza sicuro che Merkel vorrà dimostrarsi benevola con Renzi. Salvo ovviamente vedere la realizzazione del programma promesso. A cominciare da una vera rimodulazione della spesa pubblica".

L'incontro con la cancelliera Angela Merkel sarà il crocevia per inviare a Bruxelles un nuovo messaggio, ma il premier dovrà anche ottenere dei risultati concreti. A partire da una eventuale condivisione del debito attraverso l'emissione di Eurobond, strumento su cui la Germania ha sempre mostrato la sua più profonda avversione". Lo dichiara il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa.

"L'Europa - prosegue - è un progetto ambizioso, ma non si può continuare a galleggiare su una griglia di regole imperfette.

Bisogna far capire a Berlino che i paesi più 'virtuosi' hanno l'obbligo morale, in termini di costo del debito, di sostenere gli Stati membri in difficoltà. L'equazione - conclude Cesa - porterebbe benefici a tutta la zona monetaria".
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MUTUI: CI VOGLIONO 40 ANNI IN MEDIA PER DIVENTARE PROPRIETARI
ROMA (WSI) - In Italia e' in sensibile crescita la percentuale dei richiedenti che fa domanda di mutuo per sostituzione e surroga che passa dal 13,3% del secondo semestre 2013 al 20,3% del mese di febbraio 2014; il 65,1% delle richieste di mutuo sono motivate, invece, dall’acquisto della prima casa, mentre solo l’7,9% dall’acquisto della seconda casa.

In forte aumento, riferisce l'Osservatorio Mutui Online in una nota, anche la percentuale di chi ha chiesto un mutuo a tasso variabile con il cap che passa dal 7% del secondo semestre del 2013 al 11,6% del mese di febbraio 2014 e con il 36,6% dei richiedenti che ha preferito una durata del mutuo tra i 30-40 anni.

L’importo medio dei mutui erogati, nel mese di febbraio 2014, è pari a 125.231€, in leggera crescita rispetto al secondo semestre del 2013.

Ammonta al 37,2% la richiesta di mutui per le classi di Loan-to-Value (LTV) tra il 70-80% del valore dell’immobile e con il 26,7% dei mutui effettivamente erogati che conferma un tale LTV.

A livello di localizzazione geografica si mantengono, invece, i valori delle precedenti rilevazioni con il 39,2% delle richieste provenienti dal Nord Italia, il 37,2% dal Centro, il 15,8% dal Sud e il 7,8% dalle Isole.
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GLI SPRECHI DELL’ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA
ROMA (WSI) - Nella cassetta di sicurezza c’era ancora una busta chiusa con 1.334,59 euro. Neppure una scritta. Forse erano proventi di un evento mai rendicontati. Perché all’Istituto italiano di Cultura a Bruxelles un vero contabile non c’era.

C’era invece un segretario e pare avesse anche un doppio lavoro: visto il giro di ricevimenti e banchetti, ha pensato bene di farsi la sua società di catering. Si spediva i preventivi e se li autorizzava. Duemila, tremila euro alla volta.

Per contro gli insegnanti di lingua, che dovevano essere il fiore all’occhiello dell’istituto, lavoravano da anni senza un contratto. Solo impegni a voce e mandati di pagamento, le ore e gli importi scritti a penna. Nessuna ritenuta, niente tasse, zero contributi. Il capolavoro è stato poi ingaggiarli perché tenessero corsi ai funzionari della Commissione europea.

La Commissione fatturava all’Istituto, i soldi finivano a professionisti abilitati ma irregolari da sempre. Lampi da Bruxelles, dove la credibilità del Belpaese è appena affogata in un pasticcio coi fiocchi.

Mentre Renzi esordiva al Consiglio Europeo, giovedì scorso, la rappresentanza culturale presso il Consolato, in Rue de Livourne, era in piena smobilitazione. Pacchi e documenti in partenza per l’Italia, compresa la direttrice dell’Istituto di cultura.

Ricercatore a Tor Vergata, Federiga Bindi era stata nominata per "chiara fama" da Frattini (9.600 euro di indennità mensile). Il suo incarico è scaduto il 9 marzo e non è stato rinnovato anche a seguito dei risultati di un’ispezione del Mef che nel 2013 ha rilevato "’gravi irregolarità contabili e amministrative" nella gestione dell’ente: acquisti senza "determinazione a contrarre" (una cucina professionale da 13mila euro, frigo e altri materiali per 5mila…), irregolarità per contratti e consulenze esterne, 9mila euro di acquisti non rendicontati con la carta di credito dell’istituto.

Le carte sono già alla Corte dei Conti, da Roma arriverà un nuovo direttore proveniente dai ruoli del ministero e non più di nomina politica. Ma la vicenda è tutt’altro che chiusa. "Procederò nei modi e nelle forme appropriate per poter ristabilire la verità dei fatti e la mia integrità professionale, fisica e morale", annuncia la Bindi.

Quale verità? Fermata praticamente sulla porta, sostiene che l’ispezione avesse rilevato irregolarità riferibili anche alle precedenti gestioni ma abbia poi avuto effetti solo sul suo incarico, determinandone l’uscita di scena. Sia come sia, la contabilità degli anni passati è ancora lì da vedere, quando c’è. E riserva diverse sorprese.

La Belle Époque dell’Istituto: dai vernissage al "pranzo per D’Alema"

Vernissage, eventi di nicchia e generosi banchetti. Dall’archivio della contabilità riaffiorano le tracce di un’epoca d’oro in cui il prestigio dell’Istituto si guadagnava anche spendendo ingenti risorse tra mostre, eventi e rinfreschi.

La dotazione ministeriale per l’istituto è raddoppiata nel giro di un paio d’anni fino a superare i 600mila euro per esercizio. Le uscite nel 2006 ammontavano a 774mila euro, l’anno dopo supereranno il milione. I costi di catering lievitano come la panna: 30mila euro nel 2004, 35mila nel 2005, 58mila nel 2007.

Una fattura per quell’anno riporta la causale "Pranzo per il ministro D’Alema": 153 persone in uno dei resort più esclusivi di Bruxelles, praticamente un banchetto di nozze, 16mila euro il conto.

"La cucina professionale è servita ad abbattere questi sprechi e tornare sui 10-12mila euro", sostiene la defenestrata Bindi. "Io lascio un bilancio risanato e in attivo ma mi contestano irregolarità procedurali. Poi chiudono gli occhi su un passato ben più pesante".

Il riferimento è alla storia contabile degli ultimi anni, a tratti un groviera. Nel 2005 l’ex direttore Pialuisa Bianco certifica un avanzo di 47.049,29 euro: conti in attivo.

Cinque ottobre 2007, la Bianco lascia l’Istituto spiegando che «a fronte della prima tranche di dotazione finanziaria incassata, pari a 240 mila euro, si riscontrano 483.333,05 euro di autofinanziamento pari a due volte la dotazione finanziaria».

Due settimane dopo la reggente pro-tempore, Donatella Cannova, segnala al Ministero fatture non liquidate, non elencate nel verbale di passaggio delle consegne, per 39.790 euro. Un’avvisaglia. Il neo direttore, Giuseppe Manica, prende servizio il 18 settembre e un mese dopo accerta che le fatture non liquidate e gli impegni di spesa da onorare ammontano a 192mila euro.

La storia finisce con il ministero che dovrà metterci una pezza. Il 31 dicembre Manica chiede un’integrazione straordinaria al bilancio "per far fronte a una situazione debitoria tale da non consentire di corrispondere alle richieste dei creditori, a fronte dei numerosi impegni assunti sotto la gestione dell’ex direttore, dottoressa Pialuisa Bianco". I conti, a quanto pare, non sempre tornavano.

L’Italia e la lezione di lavoro (nero) all’Europa

Il buco più nero di questa storia è però quello degli insegnanti ingaggiati senza contratti di alcun tipo, almeno fino a marzo 2013, alcuni anche per 10-15 anni di seguito. I vecchi registri sono zeppi di nomi.

Gli ultimi contano una dozzina di docenti e solo da un anno sono stati regolarizzati con contratti d’opera. "Sono stata io a fargli avere il primo contratto", rivendica la silurata Bindi. "Sono arrivata che i corsi erano già iniziati. All’inizio del nuovo semestre ho cercato i contratti in istituto, niente. Li ho chiesti agli insegnanti, niente. Nessuno li aveva, erano tutti al nero da anni. Allora abbiamo studiato le forme di inquadramento possibili, e alla fine abbiamo optato per contratti d’opera intellettuale, redatti in conformità col diritto belga e la contrattualistica degli Istituti. Il MEF ha contestato questa procedura e siamo così arrivati all’ultima spiaggia: farli intermediare da un’agenzia interinale, che però si mangia buona parte del compenso dei docenti e delle entrate dell’istituto".

Scavando ancora emerge il sospetto di un tacito accordo, sulla pelle degli insegnanti, che si è protratto per anni. "A richiesta del Mae, detti insegnati non hanno nessun contratto e sono ingaggiati sulla base del titolo universitario", scriveva nel 2006 l’ex direttore Bianco. A richiesta del Ministero, dunque. L’ipotesi, se così fosse, è che tale indicazione venisse impartita direttamente da Roma per evitare che i docenti potessero accampare delle pretese sull’amministrazione sulla base di un impegno scritto. E che l’indicazione trovasse poi sponda a Bruxelles, dove il mancato accollo di oneri contributivi e fiscali garantiva all’Istituto entrate consistenti a costi ridottissimi. E ai vari direttori di ostentare "ottimi risultati di gestione".

Il rendiconto finanziario 2007, ad esempio, riporta 339mila euro di entrate per le iscrizioni ai corsi a pagamento a fronte di 152mila euro di compensi al personale docente. Per anni poi, sulla base di convenzioni e gare d’appalto, gli stessi docenti venivano mandati a far lezione ai funzionari della Commissione e del Parlamento Europeo, con crescente profitto: 34mila euro nel 2002, 62mila nel 2003, 93mila nel 2007, 120mila nel 2009… Un flash dal rendiconto 2003: entrate per corsi presso IIC e istituzioni europee 151mila euro, uscite per gli insegnanti che li hanno tenuti 80mila, utile in bilancio 71mila euro. Un affare. Le istituzioni europee fatturavano regolarmente all’Istituto, ignare di alimentare lavoro irregolare sottratto agli obblighi contributivi e/o fiscali.

La Farnesina non smentisce né minimizza. La Direzione Generale che sovrintende gli Istituti di Cultura conferma anzi di aver riscontrato irregolarità almeno dal 2007.

"Dal carteggio relativo alle passate gestioni emerge un meccanismo di retribuzione di questi insegnanti che sembrava prescindere da un contratto scritto e avvenire solo attraverso la contabilizzazione delle ore del servizio prestato, in assenza anche solo di una lettera d’incarico da produrre in atti", spiega il ministro plenipotenziario Giovanni Iannuzzi al fattoquotidiano.it.

Più indietro l’accertamento non arriverà, anche per ragioni di prescrizione delle eventuali contestazioni di responsabilità. "L’Ufficio centrale bilancio e gli ispettori del lavoro del Mef stanno analizzando, in ordine a questo aspetto, le risultanze sulle precedenti gestioni fino all’ultima, che ha iniziato invece un processo di regolarizzazione ed è oggetto di altre contestazioni", assicura il funzionario.

La questione è dunque all’attenzione degli organi di controllo. "Tutti i contratti stipulati dalla PA richiedono la forma scritta ad substantiam", si legge nella relazione ispettiva sull’Istituto trasmessa al Ministero e alla Procura della Corte dei Conti. I finanzieri ricordano che tale obbligo di legge è stato pure ribadito dal Consiglio di Stato con una sentenza del 2003. Ma a Roma come a Bruxelles, sembra non ne sia arrivata notizia per almeno dieci anni. E la grana esplode solo ora, alle porte del semestre italiano dell’Unione Europea.
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SUPER EURO, IL SUPPORTO CHIAVE CONTRO I RIBASSISTI
MILANO (WSI) - Inizio settimana all’insegna dell’indecisione sul mercato valutario, dopo le rotture dei livelli statici i prezzi sono ricaduti nel baratro, riassorbendo tutti rialzi causati dalla volatilità conseguente alle notizie di inizio mese.

I cambi riguardanti dollaro australiano e yen giapponese, ci avevano fatto ben sperare ad un ritorno del nostro caro amico trend ma così non è stato, lasciandoci una situazione difficile da analizzare almeno dal punto di vista dell’operatività nel medio periodo.

Le principali valute europee ci mostrano dei grafici in compressione, coi prezzi racchiusi in un range di 100/150 pips con i livelli di 1.3850 per l’eurodollaro e di 1.66 per il cable, aree di supporto che ormai da parecchio tempo sembrano essere dei limiti inviolabili al ribasso.

Il dollaro australiano dopo la rottura della resistenza a 0.9050 di ben 80 pips ha riassorbito tutto il movimento bullish, con tutte le chiusure delle candele daily che accarezzano la media a 100 periodi, confermando ancora una volta la mancanza di direzione.

Consistenti anche gli acquisti di yen giapponese: dopo una debole ripartenza, nella giornata di giovedì abbiamo assistito ad un inizio di forti richieste di valute rifugio, dato anche dalla correlazione con franco svizzero e oro che confermano la difficile situazione di questo periodo.

Concludiamo questa breve panoramica con il dollaro neozelandese, che dopo aver rotto la resistenza in area 0.85 si appresta a rimanere sui massimi storici anche grazie all’aumento di un quarto di punto dei tassi d’interesse.

EURJPY

Bello il ritracciamento (anche se molto veloce) di questo cross in area 61% di fibo, la trendline funge molto bene da supporto dinamico, ora attendiamo i classici segnali di inversione come da tecnica long-term.

EURGBP

Troppo presto per parlare di inversione di trend, anche se la rottura della trend-line di lungo periodo ormai è evidente.

Rimane comunque una situazione interessante da tenere sotto controllo, in caso di re test del supporto in area 0.8275 potremmo valutare eventuali ingressi long prestando molta attenzione al Money management.

ORO

Grafico dell’oro come da manuale, trend crescente da inizio anno, rottura a rialzo del livello di price-action di lungo periodo in area 1350$, ora attendiamo un re-test del livello prima di valutare eventuali segnali di ingresso long.

L'autore Lucas Bruni è analista e formatore di Professione Forex, e autore di Traders Magazine
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LA PINOTTI STA PENSANDO A TAGLI IMPORTANTI ALLA DIFESA
Roma, 16 mar. (Adnkronos) - ''Quando io ho detto che si può rivedere e tagliare, non pensavo solo agli F35''. Lo chiarisce il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ospite a "L'Intervista" su SkyTg24."Capisco che tutti si facciano la domanda sul finaziamento degli F35 - afferma -, perché nell'immaginario collettivo si tratta di un caccia bombardiere e fa pensare a un velivolo di aggressione''. Ma ''la domanda che dobbiamo farci'', continua, è ''ci servono l'Aeronautica e la difesa aerea?''. ''Sulla base di questo dobbiamo decidere - spiega -. Il governo ha assunto l'impegno con il Parlamento di attendere le conclusioni di un indagine conoscitiva che è in corso. Io ho usato tre verbi: ripensare, rivedere e ridurre e credo che questi verbi saranno applicati a tutti i programmi di spesa, non solo a quelle nel campo della difesa".DISMISSIONE IMMOBILI - Il ministro della Difesa annuncia poi che intende dare un'accelerazione alla dismissione di una parte degli immobili di pertinenza del demanio militare: "La mia intenzione è portare un provvedimento ad hoc in Cdm entro un mese". "I beni della difesa - dichiara - potrebbero essere utili alle amministrazioni cittadine o anche ai privati che vogliono investire. Quindi ritengo sarebbe uno spreco tenere inutilizzate queste strutture, al punto tale che penso di allestire al più presto una task force che se ne occupi 12 ore al giorno". In epoca di spending review anche il ministero della Difesa sarà costretto a fare tagli e risparmi. "Abbiamo già cominciato - osserva - Noi stiamo passando da un effettivo di 190mila militari a 150mila da oggi al 2024 e poi ridurremo da 30mila a 20mila il personale civile della Difesa. Insieme a questo programma abbiamo deciso di chiudere 385 caserme e presidi militari. Non solo penso che qualcuno possa acquistarli ma per facilitare queste dismissioni ho intenzione di allestire una task force".
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NUOVE STRATEGIE DELLE BANCHE: ORA SI TRATTA DI SOPRAVVIVERE
Uniti si vince. Soprattutto se sei una banca. Questo sembra essere il trend arrivato sui tavoli dei manager dei maggiori gruppi bancari i quali, nell’affrontare gli esami della Bce in svolgimento, esami che si potranno considerare conclusi solo tra un anno e i cui esiti sono tutt’altro che scontati, dovranno poi decidere come riuscire a mantenere i risultati ottenuti e confermare di volta in volta gli standard necessari anche una volta sconfitto il mostro dei crediti in sofferenza, mostro che al momento sembra lievitare intorno ai 300 miliardi di euro e che sarà il primo nodo da sciogliere con coperture . Prima di tutto con la carta che al momento sembra essere l’unica in grado di assicurare forza: le fusioni. Ma anche in questo caso regole precise, taciti accordi e ovvie logiche di categoria sono necessarie. Anche perchè, come sappiamo, l’indice italiano è particolarmente ricco di titoli bancari le scosse si farebbero sentire subito.
Strategie da seguire
A regole chiare e pianificate in Europa (omogenee per tutti) corrisponderanno altrettante regole chiare e piane per l’Italia e i suoi bancari. Ma per arrivare in Europa bisognerà anche avere capitali adeguati, secondo punto preciso e secondo scoglio da superare. E come per il primo caso non lo si supera dall’oggi al domani, con la maggioranza delle banche che stanno preparando le strategie da tempo. Con le dovute eccezioni. Eccezioni che in questo caso hanno il nome di Mps la quale, nonostante le incertezze sia sul settore in se che quelle dirette sui conti della banca ha deciso di rimandare tutto a maggio.
Intanto, però, il problema riguarda anche il taglio necessario alle spese e ai bilanci. Da qui la necessità, ovvia, di pensare a sintetizzare gli sforzi ottimizzando la resa. Nell’occhio del ciclone il quartetto Ubi, Bpm, Banco Popolare, Bper, con la loro caratteristica di “popolari, che li rende simili nelle strategie e se proprio non diventerà un polo potrebbe per lo meno trasformarsi in un duetto. Anche la realtà geografica serve a capire come un’affinità, voluta più da Bankitalia che dalle dirette interessate, possa sbocciare nel caso delle vicentine (Vicenza e la Veneto). Territorio che però non deve essere un elemento vincolante in particolare per le oltre 400 Bcc che dovranno necessariamente attraversare un processo di dura selezione.
A cosa rinunciare?
E in questo caso sarà difficile poter permettere ancora i “lussi” e i privilegi che magari una piccola istituzione poteva concedere alla clientela, soprattutto sul fronte dell’assistenza e sulla presenza di personale fisico ai sempre meno numerosi sportelli. Ed è sempre Bankitalia che caldeggia il motto di “L’unione fa la forza” anche se la necessità che preme agli istituti è quella più che altro di trovare anche una forma manageriale adatta e una strategia di lungo termine compatibile tra i vari attori in scena. Il che, considerando le tendenze della classe manageriale, è lungi dal realizzarsi.
Rossana Prezioso per Trend-online

JP MORGAN: LE ULTIME OCCASIONI IN BORSA
Dopo cinque anni di rally, con  le azioni europee che da marzo del 2009 hanno guadagnato il 90%, Jp Morgan va a caccia delle ultime occasioni nei Paesi e nei settori che hanno beneficiato meno del recupero. E in Piazza Affari sovrappesa Enel, Mediaset, Unicredit e Generali.

Il rally c'è stato indubbiamente, ma non tutti i settori ne hanno beneficiato allo stesso modo. Solo sei dei 24 settori che compongono l'indice Msci Europe hanno fatto peggio del mercato. Si tratta di: minerario, telecom, energia, alimentare, utility e tecnologia hardware.

E proprio qui gli analisti di JP Morgan cercano occasioni di acquisto.  A partire dalle utility che trattano ancora a uno sconto del 25% rispetto al resto del mercato. da qui la scelta degli esperti di sovrapesare il settore  che potrà beneficiare di una ripresa dei consumi domestici. E in particolare JP Morgan guarda all'Europa periferica e tra i titoli consigliati inserisce Enel.

Gli analisti continuano anche a consigliare le banche europee e anche in questo caso con una preferenza per quelle dei Paesi periferici. E proprio le borse della periferia sono quelle che hanno più spazio per crescere. Gli analisti sottolineano che in questi 5 anni la Germania (+110%) e l'Irlanda (105%)  hanno fatto meglio del mercato, mentre l'Italia, la Spagna, Il Portogallo e la Grecia sono rimaste i fanalini di coda della ripresa.

Oggi "soprattutto l'Italia, che ha fatto peggio del Dax del 60%, è attraente perché le valutazioni sono interessanti rispetto a quelle del Dax, la situazione politica è in progresso e potrà contare sui benefici di una riduzione dello spread", concludono gli esperti di JP Morgan.
Milano Finanza

COMMENTO IN CHIUSURA
Piazza Affari ha chiuso in deciso rialzo aumentando i guadagni dopo l´avvio tonico di Wall Street. All´indomani del referendum in Crimea, che ha visto la schiacciante vittoria del "sì" all´annessione alla Russia, sono arrivate le prime sanzioni contro la Russia da parte di Stati Uniti e Unione Europea. Sanzioni giudicate "soft" dagli investitori e per questo il mercato ha reagito positivamente. Gli Stati Uniti hanno applicato misure restrittive contro 11 individui, tra cui due collaboratori di Vladimir Putin. Misure che prevedono il divieto di viaggio e il congelamento di asset detenuti negli States. Le stesse misure sono state adottate da Bruxelles ma gli individui colpiti sono ventuno. A sostenere i listini anche la produzione industriale statunitense di febbraio, salita dello 0,6% contro attese che indicavano +0,2%. In questo quadro a Piazza Affari l´indice Ftse Mib ha guadagnato il 2,52% a 20.858 punti.

Seduta brillante per Finmeccanica (+6,25% a 6,96 euro) in attesa dei conti del 2013 che verranno pubblicati mercoledì 19 marzo. Secondo quanto riportato da Affari & Finanza de La Repubblica, i vertici del colosso pubblico, oltre che sulla cessione del polo trasporti, sono concentrati anche su un forte riassetto organizzativo. A detta del settimanale, in un periodo di circa 24-36 mesi i risparmi netti potrebbero arrivare a 500-700 milioni di euro (600-900 milioni lordi). Il risiko nel mondo delle tlc europee ha invece scaldato Telecom Italia (+3,91% a 0,823 euro). Questa mattina Vodafone ha rilevato la spagnola Ono per una cifra pari a 7,2 miliardi di euro (incluso il debito). Una mossa che permetterà al colosso britannico di espandere la gamma di servizi e prodotti offerti, in particolare nella banda larga.

Sull´indice Ftse Mib ha svettato A2A che ha mostrato un balzo del 7,07% a 1,029 euro. Autogrill ha guadagnato l´1,83% a 7,50 euro dopo i conti dell´esercizio 2013 pubblicati venerdì pomeriggio. Gli analisti di BofA Merrill Lynch, che hanno un target price di 8 euro sul titolo Autogrill, hanno citato il miglioramento dell´outloook e segnali di vitalità nel mercato domestico. Bene anche Unipolsai (+2,77% a 2,518 euro) in scia all´accordo con Allianz per la cessione del portafoglio assicurativo danni del valore di 1,1 miliardi di euro (dati 2013), 729 agenzie e 500 dipendenti dedicati alla gestione di tali attività. La cessione degli asset, facenti parte della ex Milano Assicurazioni, prevede un corrispettivo massimo di 440 milioni di euro.

Tra le banche gli acquisti sono stati sostenuti su Unicredit (+5,51% a 6,50 euro) con l´indiscrezione del Financial Times secondo cui piazza Cordusio starebbe pensando anche all´Ipo di Pioneer Investments, la sua divisione di asset management. Il quotidiano londinese parla di due possibili scenari: cessione o quotazione per Pioneer che viene valutata tra i 2 e i 3 miliardi di euro. Positivi anche gli altri titoli bancari: Montepaschi ha guadagnato il 3,41% a 0,239 euro, Bper il 3,32% a 8,38 euro, Popolare di Milano il 2,75% a 0,69 euro, Intesa SanPaolo lo 0,83% a 2,17 euro, Ubi Banca il 2,03% a 6,505 euro. Maglia nera Pirelli (-2,24% a 11,77 euro) con Rosneft che è entrata nel capitale della Biccocca, mentre dall´azionariato è uscito il fondo Clessidra.
Finanzaonline


 

TitoloPrezzo%
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