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ASPETTANDO LA MANOVRINA DI PRIMAVERA


Cerchiamo, prima di tutto, di riassumere la situazione. La Grecia, tecnicamente fallita da un paio d’anni, viene mantenuta a galla dall’aiuto da parte dell’Efsf e del FMI consistente in 130 miliardi (da ratificare comunque a marzo). Il motivo dell’accanimento terapeutico da parte dell’Europa sul paese ellenico è da ricercarsi nel timore di un default disordinato, un ritorno caotico alla dracma ed un effetto domino sui paesi periferici dell’eurozona. Ma il temporaneo salvataggio – che non impedirà il default soft del paese – è ricco di incognite e aspetti negativi. Oggi la borsa di Milano è crollata e con essa soprattutto i titoli bancari. L’Italia, come gli altri stati che adottano la moneta unica, parteciperà al prestito di 130 miliardi per un 17% circa, per  un ammontare di quasi 20 miliardi di euro. E’ un salasso non da poco. Salvare temporaneamente la Grecia non rappresenta per noi unicamente un costo immediato (i 20 miliardi di cui sopra), ma anche una pericolosa incognita:  come accoglieranno i creditori privati lo “swap” (il cambio) applicato ai titoli di stato insolvibili? Si andrà da un 50 ad un 53%, tale sarà il taglio al valore nominale che dovranno subire i creditori di Atene. Se si considera, inoltre, che nel caso della Grecia i Credit default swap (CDS) le polizze assicurative sui crediti di difficile esigibilità, avranno un peso molto relativo, è presumibile che i creditori stranieri di Atene non saranno affatto disponibili a subire un haircut del 50%. Tutto questo ci conduce diritti diritti verso il default propriamente detto (la lettera “D” delle agenzie di rating), con la conseguente ristrutturazione forzata del debito sovrano. In altre parole, i creditori dovranno subire il taglio per forza, ob torto collo, ma per la Grecia significherà la fine di questa inutile agonia, la bancarotta totale, l’uscita forzata dall’Euro, il ritorno ad una dracma che sarà solo carta straccia. Il solito spread, che conserva comunque una grande importanza, non riesce a scendere, per l’Italia, al di sotto dei 360 punti. Se a questo scenario vogliamo aggiungere l’ennesimo ribasso della stima del Pil dell’Europa, con l’Italia in recessione del 1,3%, seconda solo a Grecia e Portogallo, il quadro è quasi completo. Draghi, sempre più preoccupato, sollecita una riforma strutturale del lavoro e, udite udite, ancora austerity. Il decreto sulle liberalizzazioni sta sfumando ancor prima di vedere la luce, annacquato com’è dalle consorterie, dalle cricche, dalle lobbies nazionali, primi fra tutti taxisti e farmacisti, che ne escono trionfatori. La riforma del lavoro, che in Spagna è già stata approvata, in tempi brevissimi e con profonde modificazione della previgente legislazione, da noi stenta a decollare, con i conservatori della CGIL che non hanno ancora capito in che cosa consiste una contrazione economica mondiale, e in che cosa consiste il mercato del lavoro in un modo globalizzato. La posizione di Monti appare indebolita, soggetta eccessivamente alle pressioni della politica e delle cricche. Monti non deve dimenticare di occupare quella posizione proprio per fare quello che i politici di casa nostra non hanno il coraggio o la capacità di fare. Se non dimostrerà, con un colpo di coda, di essere in grado di mettere mano alle riforme destinate ad avere un riflesso sulla crescita, il suo lavoro sarà inutile, le sue manovre avranno un effetto solo depressivo. Ci permettiamo di essere pessimisti. In Spagna non governano i tecnici, ma i politici, eppure l’esecutivo spagnolo ha saputo fare prima e meglio del governo cosiddetto “tecnico” del nostro paese. Monti avrà un bell’aplomb e una bella faccia rassicurante, ma non bastano le buone maniere per generare sviluppo in un paese che è francamente in recessione. Ci spingiamo a fare una previsione, neppure troppo difficile: a primavera arriverà una seconda “manovrina” correttiva, fatta di tasse e nuove imposizioni fiscali. Volete scommettere? Sarà presente , per la gioia di tutti noi, anche un ritocco, un maquillage, anche sulla previdenza, tanto per cambiare. Monti sta dimostrando una debolezza che non ci aspettavamo. Non ci sono tassisti, non ci sono farmacisti, notai, avvocati, commercialisti che tengano: le liberalizzazioni dovevano andare a vanti senza guardare in faccia nessuno. Si è scelta la linea morbida, timorosi della reazione delle cricche di cui sopra, e allora la strada più semplice per ottenere un risultato immediato quanto effimero sarà quella di un’altra manovrina, nonostante le smentite di Monti stesso, cui, per la verità, sono in pochi a credere. I sacrifici saranno richiesti ai soliti poveri cristi, i farmacisti continueranno a nuotare nell’oro, e  un’altra manovra fiscale, non in presenza di una altrettanto robusta riforma delle liberalizzazioni e del mercato del lavoro servirà solo a fare impennare l’inflazione, rincarare la benzina, deprimere  i consumi che, al punto in cui siamo arrivati, saranno prossimi allo zero assoluto. In buona sostanza: si ristabilisce il circolo vizioso della recessione in assenza di crescita. Se tra un paio di mesi Mario Monti dovesse prospettare una manovra di questi tipo ci auguriamo, se non altro, che abbia il buon gusto di dimettersi  e che si vada immediatamente ad elezioni: se questi sono i tecnici, supponenti quanto inconcludenti, ci teniamo i politici, non saranno dei fulmini di guerra, ma almeno ce li scegliamo da soli.